Il primo impatto col lavoro a Kolyma

Condannata a scontare cinque anni di lager, Margarete Buber-Neumann sta per partire col treno, diretta nel Kazachstan siberiano. Sul medesimo treno – siamo nel 1939 – incontra un gruppo di detenuti (tedeschi come lei) in partenza per l’ancor più remota regione di Kolyma.

Noi otto iniziammo i preparativi per il viaggio in Siberia. Seccammo il pane sui tubi del riscaldamento. Con alcune pezzuole cucimmo dei sacchetti di varie dimensioni. Parlavamo raramente del futuro. Tutte le mie compagne raccontavano però dei figli. Quelle che avevano bambini ancora piccoli nutrivano minori preoccupazioni delle detenute con figli già grandi. Stefanie Brun era tormentata giorno e notte dal tarlo che la figlia sedicenne fosse stata arrestata poiché - secondo le leggi sovietiche - anche i figli adulti erano ritenuti colpevoli dei presunti reati politici commessi dai genitori.

Infine arrivò il giorno di partenza dalla Butirka [= una delle prigioni di Mosca - n.d.r.]. Ci trasferirono coi nostri fagotti in una cosiddetta cella di transito e ci riconsegnarono borsette e valigie, previo sequestro degli oggetti di valore e il denaro, in cambio dei quali ci diedero delle regolari ricevute. Ci portarono via anche le tazze e le gavette e fummo sottoposte ad un'attenta perquisizione corporale per scoprire oggetti utilizzabili per un suicidio. Un tardo pomeriggio salimmo sul "corvo nero", il cellulare in attesa in uno dei tanti cortili del carcere. Fui l'ultima a salire e, non essendoci più spazio, rimasi in piedi nel passaggio centrale. Nella luce del crepuscolo intravidi dei detenuti dietro la griglia che divideva la vettura in due settori. Appresi che due di loro erano tedeschi [come l'autrice - n.d.r.]. Si accostarono subito alla grata e per la prima volta vidi degli uomini con l'uniforme del campo, costituita da un giaccotto di cotone imbottito, pantaloni e un berretto con paraorecchi tondi. I due tedeschi - Lueschen e Gerschinsky - erano stati entrambi insegnanti della scuola Karl Liebknecht di Mosca ed avevano alle spalle già due anni di campo di concentramento. Dopo sette mesi di carcerazione preventiva ora stavano tornando in Siberia, dove avrebbero scontato i due anni e mezzo inflitti dalla recente sentenza. "Quando ci caricano sui vagoni diretti in Siberia ti racconteremo le nostre peripezie".  [...]

[Una volta nel vagone], ci accovacciammo sulle assi e Lueschen ci parlò della sua storia e del campo polare di Kolyma. Lui e Gerschinsky erano emigrati in Unione Sovietica. Insegnavano alla scuola Karl Liebknecht di Mosca. Nel 1937 furono entrambi arrestati dalla NKVD [la polizia segreta sovietica - n.d.r.] con l'accusa di trockismo. [...] Furono entrambi condannati a cinque anni di campo di concentramento e trasportati a Kolyma, nella Siberia settentrionale. Per la prima volta nella mia vita sentii parlare di campi di concentramento, di lavoro nelle miniere d'oro di Kolyma, della notte polare, di scorbuto e della lenta agonia per debolezza cardiaca. "La cosa più pericolosa è ferirsi accidentalmente nella miniera e dover stare distesi. Allora le gambe cominciano a gonfiarsi come se si fosse affetti dall'idropisia. Kolyma è situata su un elevato pianoro a qualche centinaio di metri sulla superficie del mare e l'aria polare non è sufficientemente rarefatta. Il cuore non ce la fa. [...] "

"Perché siete stati riportati a Mosca? Vai avanti per favore", lo pregò Stefanie Brun. "Questo è il capitolo più tragico e ignobile. L'ex-direttore della scuola Karl Liebknecht - anch'egli detenuto a Kolyma - ci ha denunciato alla polizia segreta del campo sperando di ottenere una riduzione della pena. Ha sostenuto che oltre ad essere trockisti siamo anche delle spie. Per questo ci hanno riportati a Mosca. Siamo rimasti sette mesi alla Butirka. Nel corso degli interrogatori siamo stati picchiati bestialmente. Hanno fatto sedere Gerschinsky su un termosifone bollente sinché non si è ustionato il deretano. Ciononostante, non abbiamo firmato il verbale contraffatto. É stata mantenuta la pena iniziale di cinque anni ed ora stiamo tornando per scontarla. Se ce la faremo? Ci credo poco. Dì, mio padre vive a Berlino, in Bergstrasse n. 5. Se riesci a sopravvivere, fargli avere mie notizie perché sappia come sono finito..."

Lueschen aveva 27 anni. Quando osservai il suo viso alla luce del giorno compresi che si era arreso... Il giorno seguente organizzarono i primi convogli. Dapprima quelli diretti nella Siberia centrale e nell'estrema parte orientale, poi quelli verso la Siberia del Nord, con i quali partirono Lueschen e Gerschinsky. Al momento del commiato ci stringemmo la mano e Lueschen voltò il capo per impedirmi di vedere i suoi occhi pieni di lacrime.

(M. BUBER-NEUMAN, Prigioniera di Stalin e Hitler, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 54-58)

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