Kolyma

La ramificazione del sistema
IMG_025.jpgVerso la fine degli anni Venti, la repubblica di Komi, nella Siberia centrale, all’estremo nord (l’area in cui poi, più tardi, sarebbe nato il centro minerario di Vorkuta) venne scelta come zona di confine per i detenuti che, dopo aver scontato la pena, erano stati liberati dal campo delle Solovki. Dall’estate del 1929, si cominciò la costruzione delle infrastrutture (prima fra tutte una ferrovia) capaci di trasformare l’area in un distretto minerario (estrazione di carbone e di petrolio).

Nel 1931, iniziò la costruzione del grande complesso concentrazionario di Karaganda (Karagandinskij ITL  o Karlag), in Kazachstan. Qui, negli anni Quaranta, avrebbero lavorato circa 60 000 deportati, in aziende agricole che si estendevano su un territorio di 20.800 chilometri quadrati. Un altro segmento importantissimo del sistema fu l’insieme dei cantieri destinati al raddoppio della ferrovia transiberiana; il tratto su cui venne concentrato il principale intervento fu quello che andava dal lago Bajkal al fiume Amur (distanti circa 2.000 chilometri uno dall’altro). Nel 1938, questa vasta regione ospitava circa 200.000 detenuti, divenuti 260.000 l’anno seguente.

La Kolyma

Nel novembre 1931, una risoluzione del Comitato centrale stanziò 20 milioni di rubli per la creazione del Dal’stroj, un’enorme azienda di Stato incaricata di sfruttare le risorse minerarie della regione del fiume Kolyma (nella Siberia nord-orientale). Una spedizione geologica inviata là nel 1928, infatti, aveva scoperto enormi giacimenti d’oro;

Nel 1941, il Dal’stroj controllava un’area vastissima: un territorio di 2 266.000 chilometri quadrati; nel 1951, tale territorio si sarebbe ulteriormente ampliato e avrebbe toccato i 3.000.000 di chilometri quadrati. Nel 1939, a Kolyma c’erano circa 138.000 deportati, divenuti 190 000 nel 1940. Dal 1932 al 1939, la produzione di oro passò da 276 Kg a 48 tonnellate.

La regione della Kolyma, però, era molto difficile da raggiungere. I prigionieri arrivavano in treno a Vladivostok, e poi – in nave – erano condotti al porto di Magadan, che dovette essere costruito dai detenuti stessi, insieme a tutte le altre infrastrutture indispensabili (ferrovie, strade, ponti...). Infine, dalla città di Magadan, i deportati raggiungevano i vari centri minerari nell’interno.

A Kolyma (ancor più che in altre regioni siberiane) le condizioni climatiche erano terribili, per non dire estreme, in quanto la temperatura invernale può scendere fino a –40° o addirittura –50°. Malgrado ciò, nel 1939, a Kolyma erano costretti a lavorare 138.000 detenuti.

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