Il pane di un altro

Lo scrittore Varlam Salamov (1907-1982) trascorse circa vent’anni nei lager sovietici. In questo breve racconto, l’autore rende con estrema chiarezza la facilità con cui la dura condizione di vita nel lager poteva spingere i detenuti a perdere ogni sentimento di solidarietà reciproca. Riuscire a non mangiare la razione del compagno, malgrado la terribile fame: questa la prova che deve superare il protagonista, pena la perdita della propria dignità umana.

Era il pane di un altro, il pane del mio compagno. Il mio compagno si fidava solo di me, era andato a lavorare nel turno di giorno e aveva lasciato a me il pane, in un piccolo bauletto russo di legno. [...] Nel bauletto c'era il pane, una razione. A scuotere il contenitore, si poteva sentire il pane che si spostava. Mi tenevo il bauletto sotto la testa. Era da un pezzo che cercavo di prendere sonno. Un uomo affamato dorme male. Ma io non dormivo proprio perché avevo quel pane sotto la testa e in testa il pane di un altro, il pane del mio compagno. Mi sollevai e restai a sedere sul mio giaciglio... Avevo l'impressione che tutti stessero guardando dalla mia parte, che tutti sapessero cosa stavo per fare. [...]

Tornai a coricarmi al mio posto, fermamente deciso ad addormentarmi. Contai fino a mille e mi alzai di nuovo. Aprii il bauletto e tirai fuori il pane. Era una razione da trecento grammi, fredda come un pezzo di legno. Me l'avvicinai al naso e le narici colsero di soppiatto l'odore appena percettibile del pane. Rimisi il pezzo di pane nel bauletto e lo tirai fuori nuovamente. Capovolsi il contenitore e mi rovesciai sul palmo alcune briciole di pane. Passai la lingua sul palmo, la bocca mi si riempì immediatamente di saliva e le briciole si sciolsero.

Non ebbi più esitazioni. Staccai tre pezzetti di pane, piccolissimi, non più grandi dell'unghia del mignolo, riposi la razione nel baule e mi coricai. Spilluzzicavo e succhiavo le briciole di pane. E presi finalmente sonno, fiero di non aver rubato il pane al mio compagno.

(V. Salamov, I racconti di Kolyma , Torino, Einaudi, 1999, pp. 945-946. Traduzione di S. Rapetti)

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