Il GULag durante la guerra

La seconda guerra mondiale
Siberia, Kolyma, anni Quaranta. Detenuti al lavoro in una miniera.L’esercito tedesco invase l’URSS il 22 giugno 1941. Questo drammatico evento sconvolse non solo l’intera società sovietica (che avrebbe pagato un prezzo di vittime altissime: secondo le stime più recenti, 27 milioni di vittime, tra cui 18 milioni di civili), ma anche il sistema concentrazionario. All’inizio del 1941, la popolazione del GULag era di circa 1.930.000 detenuti. A seguito dell’invasione tedesca, a molti prigionieri (970.000) fu concesso di arruolarsi nell’esercito, ma tale possibilità fu sempre negata a coloro che erano stati condannati come controrivoluzionari, in base all’art. 58 del Codice penale sovietico. Inoltre, vennero arrestati almeno 400.000 cittadini sovietici di nazionalità finnica o romena, considerati potenziali sostenitori della Finlandia o della Romania, in caso di conflitto con questi stati. La popolazione del GULag, dunque, non calò in modo significativo (nel 1942 si contano circa 1.777 000 detenuti).

Negli anni di guerra, però, la popolazione presente nel sistema concentrazionario sovietico subì un significativo doppio mutamento: aumentò la percentuale di prigionieri per motivi politici (28,7% nel 1941; 41,2% nel 1945) e la quota delle donne in stato di detenzione: dal 7,6% (110.835 prigioniere) nel 1941 al 24% (168 634).

 

Lavoro e condizioni di vita

Durante la guerra, i detenuti furono utilizzati per costruire impianti industriali e aeroporti, oppure per migliorare e potenziare la rete ferroviaria e il sistema stradale sovietico. Soprattutto, però, un numero elevatissimo di prigionieri fu impiegato in fabbriche di bombe e munizioni. Si può affermare che il 10-15% del totale dei proiettili prodotti per l’Armata Rossa sia uscita da impianti in cui lavorava manodopera forzata. Gli anni 1941-1945 furono durissimi per quel che riguarda la situazione alimentare dei detenuti, molti dei quali soffrirono la fame.

Per quanto le direttive provenienti da Mosca, in questo caso, esortassero i comandanti dei campi a prestare molta attenzione alle condizioni fisiche dei detenuti (di cui si riconosceva l’importanza produttiva, nell’ambito dello sforzo bellico), la situazione oggettiva era drammatica: in linea di massima, l’apporto calorico che era possibile fornire ai prigionieri era del 30% inferiore, rispetto a quello prebellico. Ciò provocò un costante aumento del tasso di mortalità, che nei campi passò dal 3,2% (rispetto alla popolazione concentrazionaria media annuale) del gennaio/luglio 1941 al 25,2% del gennaio/luglio 1944.

(Fonte dei dati: M. Craveri, Resistenza nel Gulag. Un capitolo inedito della destalinizzazione in Unione Sovietica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003)

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