La mentalità dei sostenitori di Stalin

Margarete Buber-Neumann era una comunista tedesca. Riparò in Unione Sovietica per sfuggire al nazismo, ma venne arrestata e spedita nel campo di lavoro di Karaganda, nel Kazakistan siberiano. Le sue memorie vennero pubblicate a Stoccolma nel 1948 . Nel passo che riportiamo affronta il tema della mentalità dei comunisti sovietici (in questo caso un gruppo di donne, imprigionate insieme all'autrice) coinvolti nelle purghe staliniane degli anni Trenta. La Buber-Neumann rimase colpita, soprattutto, dal fatto che pochissime delle sue compagne di sventura assumevano un atteggiamento apertamente critico e polemico nei confronti del Partito e della dittatura di Stalin.

A poco a poco feci conoscenza con le mie compagne di cella russe. Certo, erano delle ben strane detenute "politiche". A parte Tasso, durante la mia carcerazione alla Butirka [un carcere di Mosca - n.d.r. ] non udii mai una russa pronunciare una sola parola di critica nei confronti del regime sovietico. Avrei potuto capirle se avessero taciuto per timore delle delazioni ma si coalizzavano addirittura in cricche che gareggiavano nel proclamare devozione e fedeltà al Partito.

Loro portavoce era Katja Semjonova. [...] Le chiesi per quale motivo era stata arrestata. "Sono vittima di una congiura trockista. Ma questi criminali me la pagheranno. Sentiranno ancora parlare di me!", si scaldò. "Allora anche tu sei innocente come tutte noi?", continuai. Replicò eccitata: "Come puoi dire una cosa simile! Conosco solo il mio caso e quello di alcune amiche. [...] ". "Ma Katia, non credi che anche le altre detenute di questa cella siano innocenti quanto te? Molte ti hanno già parlato delle accuse mosse contro di loro. Non hai avuto l'impressione che siano state condannate ingiustamente?" Con un'espressione fanatica sibilò: "Non ne arrestano abbastanza! Dobbiamo proteggerci dai traditori! Che importa se anche un paio di innocenti cadono nella rete? Non si fa una frittata senza rompere le uova!".

Katja non aveva imparato nulla dalla sua esperienza. Era certa di non aver commesso alcun reato e comunque non era disposta a credere all'innocenza delle altre recluse. Aveva subito un torto ma il responsabile non era il regime, no, erano i "traditori trockisti". Pur non essendo membro del Partito era una fervente comunista. Considerava gli arresti in massa di persone innocenti come un male inevitabile che bisognava mettere in conto per il raggiungimento del "grande obiettivo finale". A quell'epoca, l'insensibilità per le sofferenze altrui e l'incapacità di cogliere le connessioni reali costituivano un tratto caratteristico di molte comuniste arrestate. Talvolta questo atteggiamento mi oppresse con maggior acutezza dell'esistenza miserabile condotta in prigione.

(M. Buber-Neuman, Prigioniera di Stalin e Hitler, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 32-34. Traduzione di M. Margara)

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