Il campo di Marzahn per gli Zingari

La persecuzione dei Sinti e dei Rom iniziò in forma sistematica a partire dal 1936, l’anno delle Olimpiadi di Berlino. A centinaia, gli zingari furono obbligati a risiedere a Marzahn, in un’area malsana, nei sobborghi della capitale. La testimonianza che riportiamo fu pubblicata per la prima volta nel 1998. Nato nel 1927, l’autore appartiene al popolo dei Sinti ed è uno dei pochi zingari disponibili a raccontare la propria tragica esperienza di deportato.

Una mattina poi, saranno state le quattro o le cinque, fummo svegliati di soprassalto dalle SA e dalla polizia: "Forza, vestitevi! Presto, presto!".

E chi ti rivedo tra questi? I nostri poliziotti, quelli che conoscevamo di vista.

Ci caricarono su un camion e, con noi, portarono via anche il nostro carro coperto. Non capivamo con che diritto quelle persone ci portassero via da un terreno privato. Fummo trasportati a Berlino-Marzahn. Il posto si chiamava ufficialmente: area di sosta Berlino-Marzahn. Proprio così, area di sosta.

Era l’anno 1936, prima delle Olimpiadi. Io avevo appena compiuto nove anni. All’inizio, quando arrivammo, a Marzahn c’era solo erba alta, tanto che noi bambini quando ci correvamo in mezzo sparivamo, ma poi l’erba venne tagliata, la terra vangata e spianata e le sorgenti d’acqua ricoperte da pietre, insomma quello che una volta era stato un campo venne trasformato in una distesa desolata.

Ci depositarono lì in stato di arresto, il che significava che nessuno poteva lasciare l’area. C’erano fossati dappertutto, e quelli intorno a noi più che prati erano paludi. Continuamente arrivavano delle macchine che pompavano uno strano liquame nei fossi. C’era una puzza terribile. In una situazione normale non ci saremmo mai fermati in un posto del genere, anche perché le nostre leggi ce lo proibivano, ma lì fummo portati e lì ci toccò restare. A parte quest’imposizione, però, nessuno si occupò più di noi.

"Vedete un po’ d’arrangiarvi". [...]

Arrivavano sempre più persone e circolavano sempre più malattie. La gente abitava in baracche ricavate da pezzi di lamiera rimediati raffazzonati insieme alla buona. Il posto per vivere e dormire ognuno doveva rimediarselo da solo perché lì non c’era niente.

La baracca della polizia quella sì, quella c’era, e c’era anche una baracca che fungeva da scuola, alla scuola elementare, infatti, non ci potevamo più andare e questo ci dispiaceva tanto. La grande scuola a Berlino Marzahn, quella vicina alla chiesa del paese, non faceva più per noi. Avevamo solo un insegnante. C’erano più classi, ma solo due stanze, una era per i bambini più piccoli. I libri ce li davano loro, noi dovevamo pagare solo una piccola somma. Avevamo un quaderno per fare i conti, uno per la brutta, uno per la bella, un abecedario e un libro d’aritmetica. Questo era tutto, di più non avevamo e non abbiamo neanche imparato molto.

Però potevamo andare a fare la spesa al paese. C’era un lattaio, il signor Drilling, un negozio di generi coloniali che vendeva anche il carbone che apparteneva al signor Haase e poi il fabbro che noi conoscevamo. Conoscevamo tutti al paese e tutti ci conoscevano. Vicino alla chiesa c’era la fermata del nostro autobus. Dopo aver ricevuto i documenti, e dopo che tutto venne regolarizzato, ci fu permesso di lasciare il campo. Potevamo anche andare in città, però la sera chiaramente dovevamo rientrare.

(O.Rosenberg, La lente focale. Gli zingari nell’Olocausto, Venezia, Marsilo, 2000, pp. 21-23. Traduzione di M. Balì)

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