Il dramma degli ebrei olandesi a Mauthausen

Il 17 giugno 1941, arrivò da Buchenwald un trasporto di 348 ebrei olandesi, che vennero assassinati in modo particolarmente brutale e violento. La maggior parte di loro morì nella cava di granito: alcuni perirono sulla lunga scalinata che portava dalla cava al lager, altri furono gettati dall’alto, giù dalla collina.

Il secondo giorno dopo il loro arrivo [= il 19 giugno 1941 – n.d.r.]  gli ebrei vennero smistati nella cava. C’erano [186] gradini che conducevano giù al fondo della fossa ma a loro non era consentito usarli. Essi dovevano far scivolare giù le pietre da un lato e persino qui erano in molti a morire o ad essere gravemente feriti. I sopravvissuti, allora, dovevano portare sulle spalle una sorta di vassoio e due prigionieri erano obbligati a caricare ogni ebreo con una pietra pesantissima. Gli ebrei poi dovevano fare tutti gli scalini [186]. In alcuni casi la pietra rotolava immediatamente giù dalla collina schiacciando i piedi di quelli che seguivano. Chi perdeva la sua pietra in questa maniera veniva brutalmente percosso e la pietra gli veniva nuovamente caricata sulle spalle.

Molti venivano spinti alla disperazione fin dal primo giorno e si suicidavano gettandosi giù nella fossa. Il terzo giorno le SS aprirono la cosiddetta porta della morte e con uno spaventoso sbarramento di colpi li spinsero attraverso la linea di demarcazione; le guardie sulle torri di avvistamento fecero fuoco colpendo nel mucchio con i fucili mitragliatori. Il giorno successivo gli ebrei non si gettarono più nel fossato uno per uno. Si presero per mano tra loro e un uomo poteva tirare con sé nove o dodici di quei suoi compagni di sventura oltre il bordo, in un’orribile morte. Le baracche furono sgombrate non in sei, ma in tre settimane scarse. Ognuno dei [348] prigionieri perì suicidandosi, o ucciso con un’arma da fuoco, o per le percosse o per altre forme di violenza. [...]

I civili impiegati nella cava di Mauthausen chiesero di porre fine ai suicidi di chi si gettava giù dai dirupi, poiché i frammenti di carne e cervello, aderendo alla roccia, erano una visione troppo terribile. La cava, per tale ragione, venne lavata dall’alto con idranti mentre dei prigionieri vennero dislocati per impedire il lancio nel vuoto di chi intendeva suicidarsi. I sopravvissuti vennero semplicemente spinti, a colpi di bastone, oltre la linea di demarcazione, verso la morte.

Quando arrivarono nuove infornate di prigionieri ebrei, le SS si divertirono a soprannominarle truppe paracadutiste.

(E. Kogon, The Theory and Practice of Hell, New York, 1960, pp. 179-180. Citato in G. J. Horwitz, All’ombra della morte. La vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 73-74. Traduzione di G. Genovese)

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