La caccia all'uomo del febbraio 1945

Il comandante Kohout, della polizia di Schwertberg, nei pressi di Mauthausen, ricorda con rammarico e disgusto l’entusiasmo con cui moltissimi austriaci parteciparono con entusiasmo alla grande campagna finalizzata alla cattura dei prigionieri sovietici evasi dal lager il 2 febbraio 1945. Questo zelo è il chiaro segnale di quanto l’ideologia nazista fosse condivisa fra la popolazione del Reich e del fatto che i campi di concentramento erano ormai stati accettati come un normale dato di fatto da moltissimi cittadini dell’Austria e della Germania.

Quello che accadde in quei giorni è molto difficile da descrivere. Uno metteva un’arma in mano a persone che erano state onorevoli agricoltori e lavoratori, fino a quel momento, e ora questi avrebbero dovuto sparare a un essere umano. Nella maggior parte dei casi quegli indifesi esseri umani si gettavano in ginocchio dinanzi ai propri persecutori e, con le mani alzate, pregavano per la loro salvezza. Almeno con quel tanto di tedesco che sapevano parlare. Quanto fu brutale allora la nostra gente!

Sparavano a questi poveri esseri, a distanza ravvicinata, inginocchiandosi dinanzi a loro e poi, con soddisfazione, ne osservavano l’ultimo fremito. Sì, si vantavano pubblicamente di quanto avevano fatto, incuranti dei loro figli che ascoltavano attoniti. Nella loro stupidità molti di loro diventarono degli assassini e il solo Giudice di tutte le cose ne sarà a conoscenza. Alcuni però caddero vittime di questa ubriacatura di sangue, il demonio che intorpidisce le coscienze irruppe nei loro cuori impadronendosene e trasformandoli in bestie.

Un’operazione di cattura sarebbe stata in ogni caso necessaria, ma non in quel modo.

(G. J. Horwitz, All’ombra della morte. La vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen, Venezia, Marsilio, 1994, p. 170. Traduzione di G. Genovese)

Azioni sul documento