I prigionieri di guerra russi

Dopo la guerra, il comandante di Auschwitz Rudolf Höss compose un lungo memoriale autobiografico, che venne steso in carcere, a Cracovia, tra il maggio 1946 e l’aprile 1947. I prigionieri che Höss descrive arrivarono ad Auschwitz nell’ottobre del 1941, con il compito di costruire il campo II, in una località chiamata Birkenau.

Arrivarono dal campo dei prigionieri di guerra della Wehrmacht di Lamsdorf (Alta Slesia) in condizioni addirittura disperate. Erano stati condotti colà con una marcia di parecchie settimane; lungo il cammino non avevano quasi ricevuto nutrimento; solo nelle soste li portavano semplicemente per i campi più vicini, dove divoravano come bestie qualsiasi cosa commestibile.

Nel campo di Lamsdorf dovevano esserci stati circa 200.000 prigionieri di guerra russi. Per la maggior parte erano alloggiati in capanne di terra, costruite da loro stessi, racchiuse in un’area quadrata. Il vitto era del tutto insufficiente, e anche somministrato in modo irregolare. Si facevano da mangiare da sé in buche scavate per terra; ma i più divoravano – non è possibile usare altra parola – la loro razione cruda, lì per lì. La Wehrmacht non era preparata ad accogliere le grandi masse di prigionieri del 1941; per di più, l’allestimento dei campi per prigionieri di guerra era troppo schematico e fisso perché potesse essere improvvisato entro breve tempo. [...]

Era con questi individui che a malapena si reggevano in piedi, che dovevo costruire il campo di prigionia di Birkenau. Secondo le disposizioni di Himmler, dovevano essere condotti da noi soltanto i prigionieri russi robusti e pienamente atti al lavoro. Gli ufficiali incaricati del trasporto mi riferirono che quelli che mi avevano portato erano il meglio che avevano potuto trovare a Lamsdorf. In verità, quanto al lavoro erano volonterosi, ma talmente indeboliti da non poter fare nulla. Ricordo perfettamente che, mentre ancora si trovavano nel campo base [denominato Auschwitz I – n.d.r.], per qualche tempo feci loro dare un supplemento di vitto, ma senza alcun risultato. I loro corpi ormai consunti non erano più in grado di compiere nessun lavoro; erano organismi finiti, inetti a qualunque attività. Morivano come le mosche per l'eccessiva debolezza o alla minima malattia, che non erano più in grado di superare. Quanti ne vidi morire mentre inghiottivano avidamente rape e patate! Per un certo periodo impiegai quasi giornalmente 5.000 Russi a scaricare i trasporti di rape. Le ferrovie erano completamente bloccate, e per terra, fra le rotaie, le rape formavano vere montagne. Niente da fare: i Russi fisicamente non ce la facevano più. Si trascinavano apaticamente, senza senso, senza meta, o si acquattavano in qualche angolo riparato per inghiottire qualcosa di commestibile che avevano trovato, o per vomitare, o per morire in pace.

(R. Höss, Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, Torino, Einaudi, 1985, pp. 103-104. Traduzione di G. Panzieri Sajna. Prefazione di P. Levi)

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