La città di Pietroburgo nel 1920

Emma Golman, anarchica che aveva vissuto per circa trent’anni esule negli Stati Uniti, nel gennaio 1920 tornò in Russia, per conoscere personalmente la vicenda della rivoluzione. Al suo arrivo a Pietrogrado, rimase stupita dall’aspetto spettrale che la città aveva assunto nel corso dei due terribili anni precedenti.


Era tutta una rovina, come se fosse stata sconvolta da un uragano. Le case parevano vecchie cappelle fatiscenti di cimiteri trascurati e dimenticati. Le strade erano sporche e deserte. La popolazione, che prima della guerra contava quasi due milioni di abitanti, nel 1920 si era ridotta a cinquecentomila. I passanti parevano cadaveri ambulanti, la penuria di generi alimentari e di combustibile aveva ormai ragione della città, stretta nella cupa morsa della morte. Uomini, donne e bambini emaciati e infreddoliti erano stanati dalle loro case da una comune triste necessità, la caccia a un tozzo di pane o a un ciocco da ardere. Vista straziante il giorno, incubo opprimente la notte. La quiete mortale della città aveva un effetto paralizzante. E mi perseguitava questo silenzio opprimente e spaventoso, rotto soltanto a intervalli da un colpo d’arma da fuoco.

O.Figes, La tragedia di un popolo. La rivoluzione russa 1891-1924, Milano, Corbaccio, 1997, p. 724. Traduzione di R. Petrillo

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