Dall'improvvisazione al sistema

Nel suo Arcipelago Gulag, Solzenicyn mette più volte l’accento sul fatto che il lager delle Solovki non è rappresentativo dell’intero mondo concentrazionario. Si trattò spesso di una realtà che poggiava sull’arbitrio e l’improvvisazione, soprattutto nei cantieri di lavoro in cui i detenuti erano adibiti al taglio del legname.

Il cremlino delle Solovki non era tutto il lager, anzi era un luogo privilegiato. Le Solovki autentiche non erano neppure gli eremi (dove, portati via i socialisti, si stabilirono "cantieri di lavoro"), bensì i luoghi più remoti dove si tagliava la legna. Soprattutto di quei luoghi lontani e sperduti oggi è difficile venire a sapere qualcosa, perché proprio di QUEGLI uomini non sopravvisse nessuno. Sappiamo che, già allora, d’autunno non c’era la possibilità di asciugarsi; d’inverno, con la neve alta, non si fornivano abiti o calzature; la durata della giornata lavorativa era determinata dalla " norma" : la giornata finiva soltanto quando il lavoro era stato eseguito, altrimenti non si tornava sotto un tetto. Già allora si "aprivano" nuovi cantieri mandando diverse centinaia di persone in luoghi inabitati, senza alcuna preparazione.

Ma sembrerebbe che nei primi anni delle Solovki tanto la corsa al lavoro che l’assegnazione di compiti logoranti esplodessero a tratti, con una malvagità intermittente; non erano ancora diventati sistema, morsa; l’economia del paese non ne aveva ancora fatto il suo perno, non erano stati istituiti i piani quinquennali. A quanto pare nei primi anni lo SLON non ebbe un piano economico ben definito, né si teneva conto di quante giornate-lavoro occorrevano per la manutenzione del lager stesso.

Lavori sensati potevano quindi essere sostituiti con la massima facilità da punizioni improduttive: versare l’acqua da una buca nel ghiaccio in un’altra, portare travi da un posto ad un altro e riportarle indietro. V’era in questo della crudeltà, sì, ma anche del paternalismo. Quando invece la corsa al lavoro diventa sistema meditato, allora esporre un uomo al gelo dopo avergli versato dell’acqua addosso, o farlo stare su un ceppo esposto alle zanzare diventa eccessivo, un inutile spreco delle forze dei boia.

Esiste la seguente cifra ufficiale: fino al 1929 erano " impegnati " nel lavoro nella Repubblica Federale Socialista Sovietica Russa soltanto dal 34 al 41% di tutti i detenuti, né poteva essere diversamente, data la disoccupazione nel paese. Non è chiaro se rientrasse in tale cifra il lavoro per la manutenzione del lager o se si trattasse soltanto di lavoro " esterno ". Ma per il rimanente 60-65% non bastava neppure il lavoro di manutenzione. Questo rapporto non poteva non valere anche per le Solovki. Di certo durante tutti gli anni Venti furono non pochi i detenuti privi di lavoro permanente (in parte anche per la mancanza di indumenti) o che svolgevano mansioni nominali.

(A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa. III-IV, Milano, Mondadori, 1995, pp. 56-57. Traduzione di M. Olsùfieva)

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