La repressione delle proteste dei prigionieri di sinistra

In un primo tempo, i prigionieri socialisti, esponenti di partiti che in passato avevano combattuto contro il regime zarista, o addirittura avevano persino approvato la Rivoluzione d’ottobre, furono trattati meno duramente. Nel dicembre 1923, tuttavia, le autorità comandarono di privare questi detenuti imbarazzanti di qualsiasi privilegio. Dopo una sparatoria che provocò sei morti, il 19 dicembre il nuovo ordine venne imposto con la forza, anche se fu comunque concesso ai compagni dei prigionieri uccisi di celebrare per loro un vero funerale, "senza discorsi", ma con bandiere e canzoni. Il resoconto seguente fu riportato nel 1924 dalla rivista Libertà della Russia, pubblicata a Praga dai social-rivoluzionari.

La sostanza del nuovo decreto consisteva nel limitare il tempo di libera uscita all’aperto e di funzionamento della luce elettrica. Fino a quel momento i detenuti [= i politici di sinistra, privilegiati – n.d.r.] potevano uscire in qualunque momento; il nuovo ordine sospendeva questa possibilità dalle 6 di sera alle 9 del mattino. La luce elettrica doveva essere tolta a mezzanotte.

Dopo aver ascoltato il comunicato di Ejchmans [Fedor Ejchmans, a quel tempo vicecomandante del campo – n.d.r.], gli starosta [= detenuti che, eletti dagli altri prigionieri, guidavano le varie comunità di reclusi politici di sinistra e tenevano le relazioni con le autorità del lager – n.d.r.] riuniti dell’eremo di san Savvatij comunicarono la propria decisa protesta contro il nuovo regolamento, considerandolo il primo passo per instaurare nel lager le norme del regime carcerario. Uscendo per ritornare al Cremlino, Ejchmans minacciò apertamente gli starosta: "La violazione delle disposizioni può provocare delle disgrazie". [...]

I detenuti decisero fermamente di respingere il nuovo regolamento, senza opporsi attivamente ma continuando a circolare come per l’innanzi, a dispetto di qualunque minaccia... Venne il 19 dicembre. [...] L’amministrazione dimostrava una strana fretta. Dimenticando la sua stessa disposizione, il comandante ancor prima delle 6 di sera diede l’ordine verbale di impedire che i detenuti circolassero all’aperto. Sembrava che venissero prese a bella posta tutte le misure per evitare una soluzione pacifica del conflitto: non venne suonata l’ora all’orologio della torre, così che i detenuti non potevano sapere l’ora esatta, si impedì allo starosta Ivanickij di recarsi al comando per le trattative col pretesto della nuova disposizione...

Il primo sparo partì dalla torretta di guardia vicino al lago ghiacciato, non lontana dall’edificio del comando. Di seguito tagliarono l’aria altri spari isolati, per la maggior parte diretti in aria. Intanto il cortile del lager presentava un quadro insolito. Un centinaio di uomini a gruppi compatti gremivano tutti i luoghi dove erano soliti passeggiare. [...] Non più di un minuto o due dopo il terzo avvertimento, si udì forte e chiaro il comando del capoplotone: "Colonna, avanti. Aprire il fuoco direttamente sull’edificio. Plotone, fuoco!". Si udì un fischio e immediatamente echeggiò una scarica assordante e singoli spari disordinati, ma frequenti. Con un debole grido cadde pesantemente a terra nel viale principale Bilima-Pasternak (social-rivoluzionario). Non lontano cadde con la faccia nella neve Gorelik (anche lui social-rivoluzionario). Erano tutti e due mortalmente feriti. [...]

La resistenza passiva era stata spezzata. Troppo gravi e pesanti erano le vittime riportate. Gli starosta riuscirono a convincere i superstiti a rientrare. Una parte dei compagni corse ad aiutare a trasportare uccisi e feriti... "Non sparate! Ce ne andiamo", gridò verso la colonna lo starosta degli anarchici Braverman. Ma la sparatoria riprese, spari disordinati sugli uomini in ritirata. Pallottole fioccavano sulla cappella, sull’edificio di mattoni, sulla porta d’ingresso. Una finì addirittura in cucina... Complessivamente il tiro al bersaglio era durato 10-15 minuti.

(J. Brodskij, Solovki le isole del martirio. Da monastero a primo lager sovietico, Seriate, La Casa di Matriona, 1998, pp. 37-41. Traduzione di M. Dell’Asta e A. Vicini)

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