La malinconica tristezza delle Solovki in inverno
3 dicembre 1934
La bottega in cui lavoro si trova sulla riva di un’insenatura, detta del Benessere. Questa bottega piccola e squallida è dotata di una pretenziosa insegna sulla porta: LABORATORIO. Ma anche se si tratta solo di un’insegna, mi fa piacere leggerla ogni volta che apro la porta. Di tanto in tanto frequento anche un laboratorio vero e proprio, non grande, ma, secondo i criteri delle Solovki, decente. É situato a due chilometri dal Cremlino, nel bosco, in riva a un lago (le Solovki, del resto, sono come un lago continuo e qui tutto è vicino a qualche lago). Ci vado a piedi, percorrendo una strada innevata; nel bosco il silenzio è assoluto, la neve è profonda, soffice, immacolata; solo a volte si scorge come un sentiero tracciato dalle orme di un ermellino. [...]
Il sole qui sorge tardi e tutto il suo breve giorno sta fermo all’orizzonte. Oggi soltanto alle 11 si sono illuminati gli edifici e le cime degli alberi. So che questo è molto bello, ma l’anima è quasi sorda a questa bellezza. L’acqua nel mare e nei laghi è nera o nero-plumbea, la neve è bianchissima, il cielo è coperto di nuvole che sono di un colore grigio scuro o nero, e alcune cose sono sfiorate da un tono rosa che viene dal sole basso. Dalla finestra del laboratorio-bottega si vede il mare Bianco che è nero, diventato nero d’inverno, orlato di strati di ghiaccio bianco vicino alla riva. Di pomeriggio su di esso appaiono le nuvole variopinte del tramonto, e il tramonto è straordinariamente lungo, cosa del tutto insolita per noi.
24-25 dicembre 1935
Il mio tempo è occupato quel tanto da non permettermi di concentrarmi, raccogliermi in me e vivere degli strati più profondi del mio essere, ma questo mio essere continuamente occupato non arriva a cancellare dalla coscienza anche i desideri più profondi. Riempio la pancia senza per ciò nutrirmi. Sono tagliato fuori dall’arte, non ci sono condizioni adatte al pensiero approfondito filosofico o scientifico, e sono costretto a girare attorno ai pensieri e alle preoccupazioni materiali che inaridiscono l’anima per la propria superficialità, e la cui necessità non è affatto chiara; ovvero, essi sono sì necessari e utili, ma convenzionalmente, in circostanze e momenti precisi.
Ora la nostra isola è coperta di neve. Il vento ulula, a volte infuria la tempesta, ma ancora non c’è gelo. Il cielo è sempre plumbeo e cupo, e solo ogni tanto all’orizzonte si apre una fessura attraverso la quale si affaccia un sole tisico: non il sole, ma una specie di spettro del sole, e non sai se sia l’alba, mezzogiorno o il tramonto. Il sole infatti resta all’orizzonte per pochissimo tempo, e quasi non si solleva al di sopra di esso, ma scivola lungo l’orizzonte. É vero che a volte si vedono dei bei colori delle nubi, che qui sono estremamente vari e molto delicati. Ma in ogni caso il sole vero e proprio non si vede non soltanto d’inverno, ma neppure d’estate, tanto è debole e spettrale.
(P.A. Florenskij, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano, Mondadori, 2000, pp. 125 e 235)