La malinconica tristezza delle Solovki in inverno

Pavel A. Florenskij, matematico, scienziato e teologo, fu arrestato il 26 febbraio 1933 e fucilato l’8 dicembre 1937. Dall’ottobre 1934 fino al novembre 1937, fu internato nel campo delle Solovki, ove condusse una vita relativamente accettabile, in quanto gli fu permesso di studiare in laboratorio un sistema di estrazione dello iodio dalle alghe marine. Nelle lettere che gli fu concesso di inviare ai familiari, Florenskij proietta sul paesaggio delle Solovki la sua amarezza, il suo sconforto, la sua tristezza per non poter proseguire in modo adeguato i suoi studi scientifici e filosofici.

3 dicembre 1934

La bottega in cui lavoro si trova sulla riva di un’insenatura, detta del Benessere. Questa bottega piccola e squallida è dotata di una pretenziosa insegna sulla porta: LABORATORIO. Ma anche se si tratta solo di un’insegna, mi fa piacere leggerla ogni volta che apro la porta. Di tanto in tanto frequento anche un laboratorio vero e proprio, non grande, ma, secondo i criteri delle Solovki, decente. É situato a due chilometri dal Cremlino, nel bosco, in riva a un lago (le Solovki, del resto, sono come un lago continuo e qui tutto è vicino a qualche lago). Ci vado a piedi, percorrendo una strada innevata; nel bosco il silenzio è assoluto, la neve è profonda, soffice, immacolata; solo a volte si scorge come un sentiero tracciato dalle orme di un ermellino. [...]

Il sole qui sorge tardi e tutto il suo breve giorno sta fermo all’orizzonte. Oggi soltanto alle 11 si sono illuminati gli edifici e le cime degli alberi. So che questo è molto bello, ma l’anima è quasi sorda a questa bellezza. L’acqua nel mare e nei laghi è nera o nero-plumbea, la neve è bianchissima, il cielo è coperto di nuvole che sono di un colore grigio scuro o nero, e alcune cose sono sfiorate da un tono rosa che viene dal sole basso. Dalla finestra del laboratorio-bottega si vede il mare Bianco che è nero, diventato nero d’inverno, orlato di strati di ghiaccio bianco vicino alla riva. Di pomeriggio su di esso appaiono le nuvole variopinte del tramonto, e il tramonto è straordinariamente lungo, cosa del tutto insolita per noi.

 

24-25 dicembre 1935

Il mio tempo è occupato quel tanto da non permettermi di concentrarmi, raccogliermi in me e vivere degli strati più profondi del mio essere, ma questo mio essere continuamente occupato non arriva a cancellare dalla coscienza anche i desideri più profondi. Riempio la pancia senza per ciò nutrirmi. Sono tagliato fuori dall’arte, non ci sono condizioni adatte al pensiero approfondito filosofico o scientifico, e sono costretto a girare attorno ai pensieri e alle preoccupazioni materiali che inaridiscono l’anima per la propria superficialità, e la cui necessità non è affatto chiara; ovvero, essi sono sì necessari e utili, ma convenzionalmente, in circostanze e momenti precisi.

Ora la nostra isola è coperta di neve. Il vento ulula, a volte infuria la tempesta, ma ancora non c’è gelo. Il cielo è sempre plumbeo e cupo, e solo ogni tanto all’orizzonte si apre una fessura attraverso la quale si affaccia un sole tisico: non il sole, ma una specie di spettro del sole, e non sai se sia l’alba, mezzogiorno o il tramonto. Il sole infatti resta all’orizzonte per pochissimo tempo, e quasi non si solleva al di sopra di esso, ma scivola lungo l’orizzonte. É vero che a volte si vedono dei bei colori delle nubi, che qui sono estremamente vari e molto delicati. Ma in ogni caso il sole vero e proprio non si vede non soltanto d’inverno, ma neppure d’estate, tanto è debole e spettrale.

(P.A. Florenskij, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano, Mondadori, 2000, pp. 125 e 235)

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