Freddo e tifo

Notti bianche
Isole Solovki, 2000. La chiesa della Trasfigurazione, fotografata alle ore 22.30. La latitudine quasi polare a cui si trovano le isole Solovki segna pesantemente la quantità di ore di luce e di buio, nelle varie stagioni dell’anno. D’inverno, le notti sono lunghissime, pressoché infinite, mentre d’estate sono bianche, cioè praticamente prive di buio. Tutto questo (insieme alla durezza della temperatura invernale) influì profondamente sulla vita dei deportati, che per circa metà dell’anno lavoravano immersi nelle tenebre o nella semi-oscurità. D’estate, invece, la quasi totale assenza di buio permetteva di estendere a oltranza la lunghezza della giornata lavorativa, al di là di ogni umana capacità di sopportazione.
Le epidemie

Ogni lager ha vissuto almeno una grave epidemia, conseguenza delle pessime condizioni igieniche in cui vivevano i detenuti. Alle Solovki, le epidemie più gravi si verificarono nell’inverno 1928-1929 e in quello seguente, 1929-1930.

Nel primo caso, scoppiò a Kem’ un’epidemia di tifo, che provocò la morte di circa il 60% dei detenuti presenti nel campo di transito. Poi la malattia si diffuse anche sull’Isola grande. Il caos amministrativo si impadronì del lager, permettendo ai detenuti più furbi di approfittare della situazione: molti prigionieri sopravvissuti, infatti, nei luoghi di ricovero scambiarono la propria identità con quella di persone morte, nel caso in cui queste fossero state condannate a pene più brevi di quelle assegnate all’individuo guarito.

La seconda epidemia esplose verso la fine del 1929, allorché arrivò un numeroso contingente di prigionieri arrestati nell’Asia Centrale sovietica, portando con sé un morbo impossibile da identificare con precisione: senza entrare in ulteriori dettagli, le autorità lo chiamarono tifo asiatico. Poiché nessuna cura funzionava, si fece ricorso alle forme più estreme di isolamento: se un detenuto si ammalava, tutti coloro che vivevano con lui (in una cella o in alloggio) non potevano più uscire. Anche se si continuava a introdurre cibo nell’alloggio infetto, di fatto era una condanna a morte per l’intero gruppo, lasciato a se stesso.

La cattedrale della Trasfigurazione

Una delle chiese più grandi del monastero, dedicata alla Trasfigurazione di Cristo, era stata adibita a quarantena per i nuovi arrivati. Di fatto, era sempre sovraffollata e non svolgeva alcuna funzione di prevenzione.

Nel 1923 un grande incendio (provocato dai bolscevichi) privò la cattedrale delle sue cupole, tipiche dell’architettura religiosa ortodossa, e quindi restaurate qualche anno prima del 2000. All’interno, la grande chiesa era ampiamente affrescata, ma tali dipinti sono stati volutamente distrutti e sono oggi irrecuperabili. All’interno, per ampliare la capienza del luogo, adibito a dormitorio di quarantena, tra pavimento e soffitto era stato tirato un tramezzo orizzontale di legno.

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