La memoria della deportazione da Roma

In occasione della realizzazione di una dettagliata ricerca sulla razzia del 16 ottobre 1943, sono state intervistate 12 persone sopravvissute a quell’evento. Alcune sono sfuggite alla retata, altre sono state deportate, ma poi si sono salvate. Le due interviste che riportiamo sono rappresentative dell’una e dell’altra esperienza.

Intervista a Rina Calò

Dopo l’8 settembre e prima del 16 ottobre, aveva lasciato la sua abitazione abituale per rendersi irreperibile?

Abitavo in via del Progresso [oggi piazza delle Cinque Scole – n.d.r. ], e non ci siamo mai mossi di lì.

Sa di altre persone, amici, conoscenti, che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ottobre, avevano lasciato la loro abitazione abituale per rendersi irreperibili?

Non so di altre persone che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ottobre, avevano lasciato la loro abitazione abituale, a quei tempi non eravamo abituati a muoverci facilmente.

Nel 1943 quali erano le notizie che giravano sulla sorte toccata agli ebrei negli altri paesi occupati dai tedeschi?

Mi è capitato di incontrare persone che venivano dalla Polonia, parlavano di campi di concentramento, ma noi non ci rendevamo conto del pericolo. Non sapevamo nulla delle camere a gas: era una cosa che i nazisti sono riusciti a tenere ben nascosta.

Cosa si ricorda dei giorni immediatamente precedenti al 16 ottobre? Aveva avuto sentore che stava per accadere qualcosa di grave?

Prima del 16 ottobre ricordo che spesso i fascisti venivano in Piazza [= l’antica Piazza Giudia fuori dal ghetto, oggi parte di via Portico d’Ottavia – n.d.r.] e ci terrorizzavano. In Piazza c’era, poi, Elena la matta, che raccontava qualcosa sul pericolo delle retate da parte dei nazisti e dei fascisti, ma nessuno le dava retta. C’era anche Celeste Di Porto che faceva la delatrice per conto dei fascisti: davvero una vergogna. Quando capitava che uscivamo, se per strada incontravamo altri ebrei, facevamo finta di non conoscerci, perché, non si sa mai, avevamo paura di essere scoperti, non dicevamo a nessuno dove abitavamo.

Ci racconti dettagliatamente quello che accadde il 16 ottobre.

Allora avevo circa 13 anni, ricordo che il 16 ottobre una vecchietta nostra vicina, che era andata a fare la fila per le sigarette, ci avvertì: “Stanno a prende tutti gli ebrei”. Allora i miei genitori presero i pochi soldi che avevano, nascosti dietro a un quadro della camera da pranzo, scappammo e andammo alla Stazione Termini dove avevamo il negozio. Riuscimmo ad allontanarci subito e a evitare i drappelli dei nazisti che in quel momento prendevano gli ebrei in tutta Roma. Riuscimmo a trovare rifugio presso una clinica vicino alla Stazione Termini. Fu una giornata terribile, avevamo una gran paura, non capivamo quello che stava succedendo, sapevamo solo che dovevamo scappare, ma non sapevamo dove andare. Provai una forte sensazione di paura e smarrimento che non riuscirò mai a dimenticare.

Ci racconti quello che accadde nei giorni successivi al 16 ottobre.

Dopo un po’ di tempo qualcuno ci riconobbe e allora una suora, che si chiamava Pia, ci disse che dovevamo andarcene dalla clinica perché ci avevano scoperti. Ci nascondemmo presso una famiglia cattolica a piazza Gioacchino Belli, alla Confederazione Fascista dei Commercianti, proprio in bocca al lupo. Gli uffici non erano più attivi, c’era solo il portiere. Ci siamo fatti passare per sfollati, abbiamo pagato per questo nascondiglio, ci è costato molto. Stavamo sempre nascosti, ma a volte mia madre usciva per andare a prendere un po’ di verdura a S. Giovanni di Dio, oppure andava al manicomio perché lì c’erano delle suore a cui vendeva dei fili da ricamo che eravamo riusciti a portar via dal nostro negozio, così come altra merce che vendevamo o scambiavamo per avere in cambio del cibo. […]


Intervista a Leone Sabatello

Dopo l’8 settembre e prima del 16 ottobre, aveva lasciato la sua abitazione abituale per rendersi irreperibile?

Abitavamo a via Portico d’Ottavia n. 9 e non ci siamo mai spostati.

Sa di altre persone, amici, conoscenti, che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ottobre, avevano lasciato la loro abitazione abituale per rendersi irreperibili?

Non ricordo.

Nel 1943 quali erano le notizie che giravano sulla sorte toccata agli ebrei negli altri paesi occupati dai tedeschi?

Avevamo avuto qualche notizia sui pericoli che ci circondavano, ma ci siamo messi a ridere. A volte accadeva che mia madre, la quale aveva l’hobby del ricamo e si metteva davanti al portone di casa con una seggiolina a cucire, parlava con alcune persone che passavano, in fuga dalla Polonia. Questi ci raccontavano qualcosa, ma noi non credevamo a quanto dicevano, pensando che non fosse possibile che accadessero cose del genere: “Ma figurati se ci portano in un campo di concentramento!”, dicevamo. Nessuno aveva mai parlato di camere a gas. Mio padre, riguardo a quello che ci poteva aspettare, diceva: “Ci daranno un pezzo di terreno, ci faranno lavorà”, non avremmo mai immaginato quello che poi io ho visto con i miei occhi. Non abbiamo pensato a procurarci documenti falsi, anche nei giorni immediatamente precedenti al 16 ottobre, perché non avevamo sentore di nulla. Io sono stato deportato a 15 anni.

Cosa si ricorda dei giorni immediatamente precedenti al 16 ottobre? Aveva avuto sentore che stava per accadere qualcosa di grave?

Dopo l’episodio dell’oro [= il 26 settembre, il maggiore delle SS Herbert Kappler chiese alla comunità ebraica romana di versare 50 Kg d’oro entro 36 ore; se il versamento non fosse stato eseguito, 200 ebrei sarebbero stati deportati – n.d.r.], ci eravamo in qualche modo tranquillizzati, pensavamo che ci avessero messo una pietra sopra, non credevamo mai che sarebbe accaduto quello che poi avvenuto. Mi ricordo, però, che i fascisti venivano spesso in Piazza e ci mettevano paura. Una volta hanno picchiato mio fratello poiché portava una cravatta a pallini rossi e lo hanno anche derubato. Lui aveva nel portafoglio 1000 lire e il fascista, quando gli prese i soldi, lo guardò con disgusto, con disprezzo: “Guarda sto’ ebreo, c’ha 1000 lire in saccoccia”. C’erano anche tanti cattolici che ci disprezzavano, tra i quali vi sono persone che tutt’ora hanno attività commerciali nella zona.

Ci racconti dettagliatamente quello che accadde il 16 ottobre.

Il 16 ottobre sono stato preso io, mia madre Celeste Tagliacozzo, mio padre Alberto Sabatello, mio zio paralitico, le mie cinque sorelle Emma, Enrica, Italia, Emma, Letizia, mia cognata, Enrica Tagliacozzo, con due bambine, Alba e Liana. Ero il più piccolo di casa, eravamo sette figli. Un caro amico di mio padre che aveva un’industria vinicola a Ciampino, fece passare mio fratello per cattolico e lo fece lavorare nella sua ditta. E’ stato l’unico della famiglia a non essere stato preso. Anche sua moglie e i figli sono stati catturati. Sono ritornato solo io di tutta la mia famiglia deportata e non tornerei per tutto l’oro del mondo ad Auschwitz, anche se molti miei amici ex deportati lo hanno fatto. Io ho sempre rifiutato. Prima della guerra ero un ragazzino, ero coccolato da tutta la mia famiglia, le mie sorelle mi chiamavano addirittura il padrone, esaudivano tutti i miei desideri, mi accontentavano sempre, eravamo felici, non ci mancava niente, ci facevamo bastare quello che avevamo, ed eravamo molto attaccati alla nostra religione.

Il 16 ottobre pioveva, stavo dormendo, verso le 5,30 o le 6, mio padre sente dei rumori, si affaccia dalla finestra e vede una squadra di soldati e alcune famiglie che uscivano con le valigie e venivano raggruppate in quella che oggi è piazza 16 Ottobre. Anche io sono stato portato lì. I nazisti sono entrati dentro casa mia, avevano un foglio con l’elenco dei nomi. Cercavano anche mio fratello, ma lui era a Ciampino. I nazisti ci dissero che dovevamo fare un lungo viaggio e quindi dovevamo portarci dei viveri. Ci siamo vestiti e siamo scesi. Ci hanno caricati sui camion e ci hanno portati al Collegio militare, dove qualcuno ha anche provato a farci convertire.

Ci racconti quello che accadde nei giorni successivi al 16 ottobre.

Siamo rimasti al Collegio Militare circa 5-6 giorni [in realtà, la detenzione durò dal 16 al 18 ottobre – n.d.r. ], abbiamo mangiato soltanto quello che avevamo portato, perché non ci davano nulla. Poi ci hanno portato alla stazione e ci hanno caricato sui carri bestiame, circa 40 persone a vagone. A Padova abbiamo fatto una sosta, ci avevano detto che se uno scappava, avrebbero fucilato tutta la famiglia. Sono sceso per fare i miei bisogni e quando sono tornato il treno stava partendo, ma io l’ho fatto fermare per poter risalire. Non ci hanno detto assolutamente nulla di quello che ci aspettava, non ne avevamo nessuna idea, pensavamo sempre che ci avrebbero dato un pezzo di terreno e saremmo andati a lavorare i campi.

Invece, ci hanno portati tutti ad Auschwitz. Non avremmo mai pensato quello che sarebbe successo, io l’ho capito quando sono rimasto solo, quando un prigioniero del campo mi disse: “Vedi quei comignoli che fumano? I tuoi cari stanno là”. Noi deportati il 16 ottobre abbiamo passato due inverni in Polonia. Mio padre era molto robusto perché lavorava con i rottami ma, durante il viaggio, gli era cresciuta la barba, sembrava più vecchio della sua età e, arrivato al campo, è stato mandato subito alle camere a gas. Quanto ho sofferto. […]

S.H. Antonucci – C. Procaccia – G. Rigano – G. Spizzichino, Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Milano, Guerini e Associati, 2006, pp. 111-114 e 127-129

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