Il campo di Fossoli

Leopoldo Gasparotto(1902-1944) era un esponente del Partito d’Azione e svolse un importante ruolo come comandante di un gruppo partigiano nelle vallate della Lombardia. Arrestato l’11 dicembre 1943, fu dapprima rinchiuso a San Vittore e poi (il 26-27 aprile 1944) condotto a Fossoli, come prigioniero politico. Il 22 giugno 1944, proprio a Fossoli, venne ucciso. Il diario che Gasparotto tenne nel campo situato vicino a Carpi (Mo) inizia il 26 aprile e si conclude il 21 giugno 1944.

26 aprile 1944

Passano infinite stazioni; è giorno. Passa Parma, effetti disastrosi dei bombardamenti. Passa Reggio: “Qui erano le Officine Reggiane”, si potrebbe dire. Siamo a Modena, Carpi. Siamo fermi su un binario morto, nel caldo e nel puzzo, perché abbiamo tutti un corpo, e qualcuno ha dovuto ingegnarsi senza un bugliolo.

L’allenamento della cella ci dà la forza di attendere; viene il momento in cui si apre il vagone. Abbacinati dalla luce ci proiettiamo sul marciapiede, raggiungiamo un bell’autobus nel quale ci stipiamo, ma in modo sopportabile. Notiamo l’assenza di fucili mitragliatori; tedeschi anziani, dall’aspetto più trattabile di quelli fin qui incontrati.

L’autobus corre attraverso Carpi, poi Fossoli e infine (che impressione piacevole rivedere tanto verde, fresche acque nei fossati, chiome di alberi!) scorgiamo un cartello POL-LAGER. Siamo al campo.

Ci inquadriamo, ad libitum, a gruppi di venti, veniamo avviati ad una baracca dove ognuno di noi dà le generalità ad un’impiegata ebrea, distinta da un nastro giallo sulla blusa e, in compenso, riceve due triangoli rossi e due rettangolini bianchi recanti il nuovo numero di matricola che altri ebrei si affrettano a cucire sulla giacca, per modo che, poco dopo, i primi di noi fanno pompa di un riuscito distintivo che non ci riesce affatto antipatico.

Si passa nella stanza attigua, dove altri ebrei romani tosano a tutti capelli, barba e baffi, e chiedono una sigaretta ad ognuno, che poi si rivende, pagandole 4 lire l’una, che poi ci rivendono… Un maresciallo tedesco chiama Orsi. Grande emozione: gli viene comunicato che, in ossequio alla sua qualità di tenente colonnello e mutilato di guerra, non gli verrà rasa la barba; tutti gli altri ex barbuti ci fanno invece uno stranissimo effetto.

Esaurita la rapatura e ricevute due coperte di tessuto di cellulosa, un telo da tenda, scodella, cucchiaio e bicchiere di bachelite, veniamo avviati al nostro reparto, dove molto più tardi, dopo aver subito una sommaria visita medica ed un interminabile appello, ci vengono assegnate le baracche. […]

Il campo di Fossoli è vastissimo, è stato costruito per contenere prigionieri di guerra, recentemente è stato suddiviso in due campi, uno a disposizione della polizia italiana, che vi ha rinchiuso [nello spazio vuoto, forse, Gasparotto intendeva inserire una valutazione numerica degli internati – n.d.r.] l’altro a disposizione dei tedeschi, come appare dalla bandiera delle SS in campo nero, issata all’ingresso. Questo secondo Lager (campo) confina col primo ed è, a sua volta, distinto in un Campo razziale riservato agli ebrei, e nel nostro Campo politico. L’infermeria e le cucine sono nel campo razziale. Comando, corpo di guardia, deposito, casermetta ecc. si trovano presso l’ingresso in una specie di primo campo, separato dai campi e dalla strada da una rete di filo spinato vigilata da sentinelle. Scritte Pericoloso avvicinarsi – si spara senza preavviso ammoniscono i curiosi. Un viale, cintato da ambo i lati, separa all’inizio il nostro campo e quello razziale, mentre più avanti il viale termina, e una semplice rete li separa. Dove termina il viale su un vasto piazzale, si apre il cancello del nostro campo, che è a sua volta cintato da due reti di filo spinato, a distanza di 4 metri l’una dall’altra, tra le quali passeggiano le sentinelle.

L. Gasparotto, Diario di Fossoli, Torino, Bollati Borinbghieri, 2007, pp. 15-22

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