Sbarco e selezione sulla Judenrampe

Mordechai Zirulnickij fu deportato dalla Bielorussia ai primi di dicembre del 1942 e scese dal treno sulla Judenrampe, la diramazione ferroviaria costruita apposta per i treni che trasportavano gli ebrei.

Il 2 novembre 1942 tutti gli ebrei di Ostryna [= località della Bielorussia; anche le altre località nominate di seguito si trovano in questa regione – n.d.r.] furono trasferiti in un campo situato nei pressi di Grodno, Kelbassino, nel quale fino a qualche tempo prima erano stati rinchiusi prigionieri di guerra sovietici. Quando vi giungemmo noi, i soldati prigionieri erano già stati portati via. In quel campo furono concentrati a poco a poco gli ebrei di tutte le città e di tutti i paesi della regione di Grodno. Gli alloggi erano costituiti da piccoli locali scavati nella terra, in ognuno dei quali venivano sistemate fino a trecento persone. C’era appena lo spazio per stare in piedi: sdraiarsi era impensabile. Non ci si può fare un’idea della calca, del fetore e della sporcizia che c’erano là dentro. […] Nel campo di Kelbassino rimanemmo un mese. Il 1° dicembre 1942 ricevemmo l’ordine di prepararci alla partenza. Sui bagagli dovevamo scrivere il nostro nome: li avrebbero spediti direttamente alla nostra nuova destinazione. Il 2 dicembre ci caricarono insieme alle nostre famiglie su carri merci. Spinsero dentro ogni vagone quanta più gente possibile e poi sbarrarono i portelli. Il viaggio durò tre giorni e tre notti. Non ci diedero né pane né acqua. Soffrivamo soprattutto la sete, i bambini in particolare. […]

Io, mia moglie Sara e gli altri tre figli giungemmo ad Auschwitz il 5 dicembre. Il nostro treno si fermò in aperta campagna. Là c’era un piccolo marciapiede, che, come venni a sapere più tardi, era stato appositamente costruito per accogliere i treni tra Auschwitz e Birkenau… [= si tratta della cosiddetta Judenrampe, costruita non lontano da Auschwitz II-Birkenau, per ricevere i convogli degli ebrei provenienti dalle diverse regioni d’Europa – n.d.r.]. Tranne qualche granaio in lontananza, non si vedeva che un’interminabile cortina di filo spinato. Vicino al marciapiede c’era un gruppo di uomini in abito civile. Una persona piegata in avanti sotto i colpi del bastone di una SS grande e grossa: questa fu la prima immagine che mi si presentò davanti agli occhi. In seguito avrei visto scene analoghe ripetersi all’infinito, ma quell’immagine, che ha segnato il mio arrivo ad Auschwitz, mi è rimasta impressa a fuoco nella memoria.

Poi arrivò il comandante del campo Schwarz [= Heinrich Schwarz fu trasferito ad Auschwitz da Mauthausen nel 1941; ricoprì la carica di comandante di Auschwitz III-Monowitz dal novembre 1943 al gennaio 1945 – n.d.r.], a bordo di un’auto della Croce Rossa (per inciso, anche il gas tossico usato per eliminare gli esseri umani veniva trasportato con automezzi della Croce Rossa). Le SS ci circondarono. I nostri bagagli furono scaricati, ma non ci fu permesso di recuperarli. Quasi contemporaneamente i corpi di chi era morto durante il viaggio furono estratti dai vagoni e trascinati a lato. Infine sopraggiunse una colonna di detenuti con l’abito a strisce e si diresse verso i nostri bagagli.

Ebbe inizio la selezione. Le persone deboli e malate furono condotte nel punto in cui giacevano i cadaveri. Gli uomini giudicati sani andarono a formare un gruppo a parte. Tutti gli altri, donne, vecchi e bambini, furono caricati su dei camion e portati via. Così mi separai per sempre da mia moglie e dai miei figli, senza nemmeno salutarli: chi si poteva immaginare che stavano andando a morire?

V. Grossman – I. Erenburg, Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Milano, Mondadori, 1999, pp. 720-. Traduzione di L. Vanni

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