Lo sbarco sulla Judenrampe
Dopo aver prestato servizio nel Sonderkommando dei crematori di Birkenau, Shlomo è sopravvissuto. Da una decina d’anni, guida gruppi di studenti e di cittadini ad Auschwitz; la seguente testimonianza è stata registrata sulla Judenrampe, dove Shlomo ha ricordato il suo traumatico impatto col campo.
Ci hanno fatto scendere qui: questa discesa, prima era più alta. All’improvviso spalancano le porte del vagone bestiame, incominciano gli urli e gli strilli davanti alle SS che ci aspettano con i mitra in mano, urlando, a loro volta, come dei forsennati. Io, allora, ero giovane: avevo vent’anni. Il salto che dovevo fare dalla rampa era più di un metro e, mentre per me e mio fratello non era troppo problematico, lo era, invece, per la mia mamma e le mie sorelline.
Salto giù e l’istinto stesso vuole che io cerchi di aiutare mia madre a scendere, lei aveva 43 anni. Proprio nel momento in cui mi giro per aspettarla, chiamando “Mamma!”, iniziano le botte in testa, che le SS danno a tutti quelli che si fermano ad aspettare o a cercare di capire dove siamo. Ci spingono verso la strada dove ci sono i camion su cui hanno già caricatole persone più anziane e i bambini per portarli a Birkenau, che è a circa 800 metri da qui. Gli uomini restano separati dalle donne.
In quel momento, arrivano gli ufficiali, tra i quali c’è qualche medico, per valutare chi può ancora lavorare e chi, invece, deve essere portato direttamente a morire. Inizia la selezione. Siccome ero un ragazzo, invece di portarmi direttamente nelle camere a gas di Birkenau, mi portarono, insieme agli altri giovani, [verso Auschwitz].
A.Bienati (a cura di), Viaggio nella fabbrica dello sterminio. Voci da un dramma collettivo, Milano, Proedi, 2002, p. 35