Grecia e Bulgaria nella seconda guerra mondiale

L’aggressione italiana contro la Grecia
Auschwitz, 2006. La nuova rampa ferroviaria e la torretta di guardia, construite nel 1944Il 1° settembre 1939, Mussolini scelse di non partecipare alla nuova guerra, appena iniziata. Il Duce prevedeva una guerra lunga, per la quale l'Italia non era assolutamente preparata. Ma il 10 giugno 1940, dopo la repentina sconfitta della Francia, Mussolini annunciò pubblicamente la sua decisione di scendere in campo, nella convinzione che Hitler avesse già vinto la guerra.

L’esercito italiano incontrò subito gravi difficoltà in Africa orientale e in Libia, mentre l'11 novembre 1940 gli aerosiluranti inglesi riuscirono senza problemi ad affondare tre corazzate nel porto di Taranto e a mettere fuori combattimento metà dell'intera flotta da guerra italiana. Ignorando tutti questi evidenti segnali, 28 dicembre 1940 Mussolini dichiarò guerra alla Grecia. L'obiettivo del Duce era di tipo politico: voleva mostrare che l'Italia non era una semplice pedina tedesca, bensì poteva condurre - in piena autonomia e proprie risorse - una guerra parallela, con obiettivi rispondenti solo ai propri interessi. Le truppe italiane, però, non riuscirono a sconfiggere l'esercito greco, e per salvarle dalla completa disfatta Mussolini fu costretto a chiedere aiuto alla Germania.

L’intervento tedesco nei Balcani (aprile 1941) mise in moto una lunga serie di conseguenze. La Jugoslavia, che si era opposta al passaggio delle armate naziste, venne smembrata, mentre la Bulgaria – che aveva accettato di collaborare e permesso il transito dei tedeschi sul proprio territorio – fu ricompensata con l’annessione della Tracia e della Macedonia: due regioni che i greci avevano conquistato nel 1913, e che i bulgari rivendicavano come parte integrante del proprio territorio nazionale.

Le leggi antisemite in Bulgaria

La politica di avvicinamento della Bulgaria al Terzo Reich era iniziata nel settembre 1940, allorché Hitler aveva obbligato la Romania a cedere ai bulgari la Dobrugia, un territorio di 4300 chilometri quadrati nella regione del delta del Danubio, perso all’inizio del Novecento. In segno di gratitudine ed amicizia nei confronti della Germania, circa due mesi dopo (19 novembre 1940) il parlamento di Sofia votò un progetto di legge che limitava pesantemente i diritti degli ebrei bulgari, costretti persino a esibire il distintivo giallo. A partire dal 15 gennaio 1941, data in cui il re Boris ratificò con la propria firma il provvedimento, gli ebrei bulgari non poterono più lavorare negli uffici pubblici né servire nell’esercito; sulle loro case furono obbligati a porre la scritta residenza ebraica, mentre non potevano usare il telefono, possedere radio o impiegare domestiche bulgare.

Inoltre, fu vietato l’accesso ai luoghi ricreativi (cinema, teatri, mostre d’arte, musei, ecc.) e venne posto un rigido numero chiuso alle diverse professioni e nei principali settori della cultura o dell’economia (medicina, avvocatura, commercio…).

Nel giugno 1941, furono attaccati i patrimoni, con una legge che imponeva una tassa speciale del 20-25% (a seconda dell’entità dei redditi) agli ebrei bulgari e che di fatto era un vero atto di esproprio di un quarto circa dei beni. Il provvedimento più preoccupante riguardò infine i circa 12 000 ebrei della Tracia e della Macedonia, concesse da Hitler nella primavera 1941, dopo l’occupazione della Grecia. Agli ebrei di quelle regioni, infatti, non fu concessa la cittadinanza bulgara. Tutto lasciava indicare che, al momento opportuno, la Bulgaria sarebbe stata il più docile dei collaboratori tedeschi, nel processo di deportazione.

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