Il tormento interiore di un membro del Sonderkommando

Il manoscritto steso da Salmen Lewental fu ritrovato il 17 ottobre 1962, chiuso in un vaso, sepolto nei pressi del Crematorio III. Si trattava di 75 fogli non numerati, scritti in lingua yiddish e in pessimo stato di conservazione. Lewental era nato nel 1918; entrò ad Auschwitz il 10 dicembre 1942 e morì nel 1944 (forse, ucciso alla fine di novembre). Nel testo seguente, gli spazi bianchi e le piccole linee indicano che il testo, in quel punto, è illeggibile; le parentesi quadre contengono invece integrazioni sicure o quasi sicure, sul testo mal conservato.

Sono stato in tanti Kommando del campo, sono stato a lavorare ad Auschwitz [= il campo base, Auschwitz In.d.r.], sono stato a Buna. Poi il 25 gennaio 1943, dopo aver girato diversi posti, sono tornato di nuovo qui [= a Birkenau – n.d.r.], dove sono stato preso per lavorare in questa fabbrica, e certo non ho perso nulla rispetto ai miei compagni, qui – come uomini, uomini normali con caratteristiche normali –, non criminali, non [assassini], ma esseri umani con cuore e sentimenti, pienamente coscienti, si siano abituati a [tutto questo] e affrontino il lavoro. Tuttavia non sono loro i colpevoli. – Ai primi uomini, che già nella prima notte – vennero presi per fare questo lavoro, era stato detto solamente che – sarebbe stato un lavoro pesante e perciò – non si sapeva nulla, perché quello stesso giorno era stato eliminato il vecchio Kommando che aveva lavorato qui con – [in seguito] [alla denuncia] di un Kapo ebreo – evasione, presero […]

L’unica cosa che non distingue [gli uomini] è il fatto che ciascuno nel suo subconscio è dominato dalla volontà interiore di vivere, dal desiderio di vivere e sopravvivere. L’uomo si ripete di continuo che non si tratta della sua vita, che non si tratta della sua persona, ma solo del bene di tutti. Vuole sopravvivere per un motivo o per un altro, per una ragione o per un’altra, e a questo scopo trova centinaia di scuse. La verità è che si vuole vivere a ogni costo, si vuole vivere perché si vive, perché tutto il mondo vive. E tutto ciò che si desidera, tutto ciò a cui si è legati almeno un po’ – si è legati innanzitutto alla vita, senza la vita – questa è la pura verità…

- Perché fai un lavoro così esecrabile, perché vivi, a quale scopo vivi, che cosa ti aspetti –, dove vuoi arrivare con una vita così –. Qui sta il punto cruciale – del nostro Kommando, che non ho affatto intenzione di difendere nella sua totalità. A questo punto devo dire la verità, che alcuni di questo gruppo si sono talmente lasciati andare con il passar del tempo, che noi stessi ce ne vergogniamo. Hanno semplicemente dimenticato che cosa stessero facendo – e col tempo si sono abituati a tal punto, [da] farci disperare per il fatto che uomini così normali, comuni, semplici e modesti –, volenti o no, si siano a tal punto assuefatti a tutto, da non provare più alcuna emozione per quanto accadeva. Ogni giorno assistono alla morte di decine di migliaia di uomini e [non provano] niente.

C. Saletti (a cura di), La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del Sonderkommando di Auuschwitz, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 92-94. Traduzione di C. Ohlmes e C. Saletti

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