Il pogrom di Kielce, nella Polonia del dopoguerra

Nell’immediato dopoguerra, in Polonia, si verificò la paradossale convergenza di due atteggiamenti: da una parte la posizione del governo comunista, che ricalcò la linea sovietica di non valorizzare la specificità ebraica del genocidio; dall’altra, la convinzione radicata all’interno della popolazione, secondo cui gli ebrei erano degli estranei e dei nemici della nazione polacca. Quest’ultima concezione si manifestò clamorosamente in occasione del pogrom che si verificò nella città di Kielce, nel luglio 1946: accusate di aver tentato un omicidio rituale, contro un bambino polacco, furono uccise quaranta persone, mentre altre ottanta furono ferite o picchiate.

Invece di condannare l’episodio, nel testo che riportiamo, pubblicato il 1° settembre 1946, il vescovo locale (Czeslaw Kaczmarek) cercò di difendere gli autori del pogrom. Quanto alle autorità comuniste, in questo caso cercarono di sfruttare l’evento per mettere in difficoltà la Chiesa ed accusarla di essere reazionaria; in numerose altre occasioni, però, dimostrarono di condividere l’antisemitismo popolare o per lo meno di assecondarlo. Questo delicato contesto spiega la particolare situazione che si venne a creare nella gestione della memoria degli ex-campi di Auschwitz: per molto tempo, i luoghi ebraici furono dimenticati, trascurati e di fatto rimossi.

Non solo i polacchi che non appartengono ad alcun partito o che sono all’opposizione non amano gli ebrei, ma persino molti di coloro che appartengono ufficialmente a partiti di governo.

I motivi di questa generale avversione sono universalmente noti e comunque non derivano da motivi razziali. Gli ebrei in Polonia sono i principali propagandisti del regime comunista, che il popolo polacco non vuole, che gli viene imposto con la forza, contro la sua volontà. Inoltre, ogni ebreo ha una buona posizione o infinite possibilità e facilitazioni nel commercio e nell’industria. I ministeri, i posti all’estero, le fabbriche, gli uffici, l’esercito traboccano di ebrei, e sempre nei posti principali, importanti e di responsabilità. Dirigono la stampa governativa, hanno in mano la censura, oggi così severa in Polonia, dirigono gli uffici di sicurezza, arrestano. Oltre a diffondere il comunismo, non si contraddistinguono per il tatto, soprattutto nei rapporti con persone di idee non comuniste. Sono spesso arroganti e brutali. Molti di loro non vengono nemmeno dalla Polonia. Giunti dalla Russia, parlano male il polacco e si orientano ancor peggio nei rapporti con i polacchi. Per le suddette ragioni si può dire perciò che la maggior parte della responsabilità per l’odio che circonda gli ebrei è da attribuirsi a loro stessi. Il polacco medio ritiene (non importa se a torto o a ragione) che i veri e sinceri sostenitori del comunismo in Polonia siano essenzialmente solo gli ebrei, perché la stragrande maggioranza dei comunisti polacchi, a parere della comunità, sono persone interessate, prive di idee, comuniste solo perché a loro conviene molto…

Oltre a questa ragione, però, sulle masse di Kielce ne agisce una seconda, che si potrebbe definire diretta. Già un paio di mesi prima del 4 luglio 1946 a Kielce avevano iniziato a diffondersi voci sulla morte di bambini di entrambi i sessi… l’opinione pubblica riteneva che ne fossero colpevoli ebrei che compivano omicidi rituali sui bambini, quindi le accuse dei genitori ebbero l’effetto di aizzare molto contro gli ebrei, soprattutto sulle persone semplici. Indubbiamente furono queste morti di bambini a indignare persino molti membri dell’intelligencja. Per esempio, alcuni di essi riferirono a chi scrive che gli ebrei facevano trasfusioni di sangue dai bambini e uccidevano le vittime a cui prelevavano il sangue.

I fatti qui descritti furono riportati alla polizia, ma essa dimostrò nei loro confronti una totale indifferenza, non compiendo indagini, ma non smentendo neanche le notizie ricevute. L’inattività delle forze di polizia confermò nelle grandi masse la convinzione che agli ebrei di Polonia fosse permesso tutto, che potessero sempre passarla liscia. […]

È un fatto che gli ebrei europei desiderano esercitare una pressione sul governo britannico perché dia loro la Palestina in possedimento esclusivo. L’attentato compiuto recentemente all’hotel King David di Gerusalemme da terroristi ebrei, durante il quale pare siano morti parecchi ebrei, è una prova eloquente di quella pressione. In secondo luogo, per ottenere più facilmente la possibilità di partire per la Palestina, gli ebrei europei tentano di dimostrare di essere perseguitati in alcuni paesi europei. Uno di questi paesi è la Polonia, particolarmente invisa agli ebrei, soprattutto russi, perché non vuole accettare il regime comunista che le viene imposto. In relazione ai suddetti fenomeni non è escluso che qualcuno tra gli ebrei possa aver indotto Henryk Blaszczyk [= il bambino di Kielce che scomparve il 1° luglio 1946, ricomparve sano e salvo il 3 luglio e disse di essere stato rapito dagli ebrei – n.d.r.] a fare il suo racconto… nella previsione che avrebbe indotto la folla già eccitata e tanto ostile agli ebrei a eccessi che in seguito sarebbe stato possibile sfruttare ampiamente. […]

La stampa governativa pretende dall’episcopato un intervento collettivo contro l’antisemitismo. È una pretesa paradossale, e addirittura oltraggiosa per la Chiesa. Inoltre è una cosa che non può essere fatta, non solo per motivi di principio. La stragrande maggioranza degli ebrei in Polonia diffonde in maniera zelante il comunismo, lavora nei famigerati Uffici di Sicurezza, arresta, tortura e uccide gli arrestati, e per questo va incontro all’avversione della società, che non vuole il comunismo e che ne ha ormai abbastanza di metodi da Gestapo. Ed ecco che la Chiesa, secondo la stampa di regime, deve annunciare solennemente che l’avversione della società non è fondata, che il comportamento degli ebrei è assolutamente innocente, che i colpevoli sono i polacchi che si sdegnano contro di loro.

A. Michnik, Il pogrom, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 18-21. Tradizione di L. Rescio

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