Un ghetto sovraffollato

La fine dell’ebraismo tedesco
Terezín, 2006. La caserma Magdeburgo, sede del Consiglio ebraico.Le deportazioni degli ebrei speciali dal Reich verso Terezín iniziarono il 2 giugno 1942; il 10 giugno, gli agenti della Gestapo si presentarono negli uffici situati al n. 29 di Orianenburg Strasse, per comunicare lo scioglimento ufficiale della comunità ebraica di Berlino; a seguire, venne cancellata anche l’Associazione nazionale degli ebrei in Germania, che riuniva tutti gli israeliti del Reich ed aveva già da tempo perso qualsiasi autonomia. Delle tredici personalità che la dirigevano, si salvarono solo Moritz Henschel e Leo Baeck, entrambi deportati a Theresienstadt.

Nel 1942, la vita nel ghetto modello era durissima: poiché molti dei nuovi arrivati dal Reich erano anziani o infermi, la mortalità di quell’anno fu altissima e si aggirò intorno al 50%. Nel 1943, il tasso di mortalità si ridusse al 29,4%, per poi abbassarsi ulteriormente al 17,2% nel 1944. Nel periodo più drammatico, 58 000 persone vivevano all’interno di uno spazio che, prima della guerra, ne ospitava 7000 (3500 civili e 3500 militari).

Inizialmente, la direzione di Theresienstad fu assegnata dai tedeschi a Jacob Edelstein, uno dei dirigenti della comunità di Praga; venne deportato ad Auschwitz nel novembre 1943, allorché i nazisti scoprirono che aveva alterato i registri anagrafici del ghetto, per coprire alcune evasioni.

Paul Eppstein

Al momento del suo arresto, Edelstein non ricopriva più alcun incarico: nel gennaio 1943, era stato obbligato a dimettersi ed era stato sostituito da Paul Eppstein. Questi era nato nel 1901, era stato un brillante allievo di Max Weber e di Karl Jaspers, ma la sua carriera accademica fu bruscamente interrotta dall’avvento al potere dei nazisti. Si occupò allora dell’emigrazione degli ebrei dalla Germania per conto dell’Associazione nazionale degli ebrei in Germania, ma la Gestapo lo incolpò di inefficienza, per le crescenti difficoltà che si incontravano con l’amministrazione britannica in Palestina. Pertanto, nel 1940, passò alcuni mesi di carcere nel carcere di Alexanderplatz, a Berlino.

Inviato a Terezín, dovette gestire una situazione difficilissima e affrontare contrasti fortissimi, tant’è vero che la sua figura è molto discussa ed ha suscitato vivaci critiche, dopo la guerra. Innanzi tutto, era poco amato da tutti coloro che non erano tedeschi e che lo vedevano come un complice dei nazisti. Inoltre, non tutti condividevano la sua insistenza sull’ordine, sulla puntualità e sulla precisione nell’eseguire i lavori richiesti dai tedeschi. Nel luglio 1943, ad esempio, un enorme tendone collocato nella piazza centrale della città divenne la sede di una catena di montaggio per la produzione di casse destinate ai veicoli militari attivi sul fronte orientale.

Come nel caso dei suoi colleghi dei ghetti polacchi, Eppstein sperava di salvare gli ebrei, mettendo le autorità di fronte all’evidenza della loro utilità economica; forse, si era addirittura illuso di poter dimostrare ai nazisti che gli ebrei erano diversi da come la loro propaganda li raffigurava. Oppure, più semplicemente, non riuscì a scrollarsi di dosso i valori  maturati nella sua formazione tipicamente borghese. Insomma, per certi aspetti, Eppstein ci appare un tipico esponente di quella simbiosi culturale ebraico-tedesca, che aveva dato i suoi frutti migliori nel XIX secolo, ma che negli anni Quaranta del Novecento era ormai tragicamente tramontata.

Eppstein ricoprì la carica di decano del Consiglio ebraico fino al 27 settembre 1944, giorno in cui fu arrestato e fucilato dai nazisti.

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