La Grande fortezza di Terezín, ghetto degli ebrei cechi

B. Murmelstein era uno dei membri del Consiglio ebraico di Terezín. Nelle sue memorie, descrive la nascita del ghetto, nella Grande fortezza. Si noti il tono ironico: trattandosi di una fortezza, l’autore usa vari termini ed espressioni del linguaggio militare (pattuglia, assalto, avanguardia…). In realtà, si trattò di un secco ordine di trasferimento, imposto dalle autorità tedesche alle comunità ebraiche di Praga e delle altre città ceche.

Nell’ultima settimana di novembre 1941, l’organo antisemita di Praga, Lotta Ariana, aveva comunicato che l’ultimo ebreo abitante a Terezín avrebbe presto lasciato la città. Nella stessa settimana però un’avanguardia di trecentoquarantadue tecnici e operai specializzati, scelti nella comunità ebraica di Praga, occupava ls caserma chiamata Sudeti. Era la prima volta dopo 160 anni di esistenza che la fortezza di Terezín era presa d’assalto. Una deputazione di rispettabili cittadini si precipitava a Praga, pregando di non insudiciare di nuovo la loro città appena ripulita coll’esodo degli ebrei; ma l’argomento […] fece cilecca presso l’Ufficio del Protettore di Boemia-Moravia.

Secondo i piani strategici, alla prima pattuglia doveva seguire un battaglione di mille operai, guidati da un gruppo amministrativo con a capo i dirigenti delle comunità di Praga (Giacomo Edelstein) e di Bruna (Ottone Zucker). Preparare alloggi per i futuri abitanti del ghetto, organizzare servizi sanitari, assicurare l’approvvigionamento e costituire una rudimentale amministrazione, questi i compiti prestabiliti.

I primi conquistatori di Terezín giacevano intanto esposti alle intemperie di un rigido inverno, su pavimenti di cemento, con solo qualche coperta, senza pagliericci, mentre i letti da costruire erano ancora in mente del disegnatore. Il capitano Sigfrido Seidl, nominato comandante del ghetto, non era ancora arrivato e, in sua assenza, gli ebrei rimanevano in stato di arresto, senza poter lasciare la caserma per iniziare i lavori. Il gruppo dei mille operai, amministratori e medici stava ancora, serrando le file a Praga, in attesa della partenza. Tutto era da iniziare. Però, lo stato maggiore di Eichmann non guardava la realtà. Gli schemi preparati sembravano, sulla carta, perfetti; bastava questo per considerare il ghetto un fatto compiuto. Era pertanto logico che per l’inaugurazione fossero spediti a Terezín, senza alcun preavviso, duemila vecchi, donne e bambini. Dopo un mese, circa ottomila ebrei facevano una vita d’inferno nel buio delle caserme. Il caos paralizzava i tentativi di coordinamento e frustrava ogni sforzo di dare inizio all’organizzazione del ghetto.

In queste condizioni la prima premessa per mettere un po’ d’ordine nelle cose poteva essere soltanto la sistemazione separata delle donne con i bambini. Però il trasferimento, anziché portare un miglioramento, fu eseguito in modo talmente brutale e disumano, da seminare il panico fra la massa sperduta e disorientata. Per i familiari che cercassero di comunicare fra di loro era prevista la pena di morte. Bisogna però ammettere che non si è mai andato oltre una bastonatura di venticinque colpi per un reato del genere. Come carta costituzionale della costituenda comunità vigeva un regolamento carcerario compilato da Eichmann e Seidl.

Era proibito uscire dalle caserme senza permesso speciale. Una volta sulla strada, toccava rispettare il divieto di camminare sui marciapiedi. I vecchi, inabili al lavoro, potevano uscire all’aria solo saltuariamente, incolonnati e sotto scorta. Dalle ore 18 (d’estate dalle ore 20) era intimato il coprifuoco. L’ebreo commetteva un reato se rivolgeva la parola a un tedesco, il saluto a distanza era però d’obbligo. Incontrando una persona in uniforme, gli uomini scoprivano il capo, le donne facevano un profondo inchino. […]

Sistemate separatamente le donne e costituite le brigate del lavoro, fu completato lo schema dell’amministrazione del ghetto, affidata ad un Consiglio di Anziani, sotto la presidenza del decano Edelstein, coadiuvato da Zucker. Il 23 dicembre 1941 fu ordinata l’immediata consegna degli oggetti proibiti, specificati in un elenco a parte. Questo elenco comprendeva: banconote, gioielli, medicinali, macchine fotografiche, strumenti tecnici e musicali, droghe, profumi, dentifrici, tabacchi, fiammiferi e oggetti d’arte. E’ da notare che ogni ebreo, oltre ad una confisca dei suoi beni, aveva già subito una accurata perquisizione del bagaglio al momento della partenza per Terezín. Inoltre, la data del progettato sequestro dimostra chiaramente che il suo scopo principale non era altro che procurare una strenna natalizia ai militi delle SS e ai loro familiari.

(B. Murmelstein, Terezín. Il ghetto modello di Eichmann, Rocca San Casciano, Cappelli, 1961, pp. 15-17)

Azioni sul documento