Il documentario di propaganda

La città degli ebrei
Terezín, la partita di calcio, organizzata per il film di propaganda girato dai nazisti. Disegno realizzato nel 1944, dalla dodicenne Helga WeissovaNell’estate 1944, i nazisti pensarono di sfruttare in modo ancora più efficace Theresienstadt come strumento di propaganda. Pertanto, in agosto-settembre, il regista olandese Kurt Gerron (internato a Terezín) fu incaricato di girare un documentario sulla vita del ghetto-modello. Ovviamente, il film doveva dare una versione assolutamente falsa della realtà di Terezín: una facciata che potesse servire a molteplici scopi. Diffuso all’esterno, il film doveva servire a cancellare una volta per tutte le false voci relative al cattivo trattamento subito dagli ebrei; in Germania, doveva invece suscitare reazioni d’altro tipo, in quanto il contrasto tra l’idilliaca condizione in cui vivevano gli ebrei e la drammatica situazione dei tedeschi, sempre più tormentati dalla fame e dalle bombe, era stridente; dunque, il film poteva suscitare, in molti tedeschi, una legittima e spontanea richiesta di una politica più dura, nei confronti degli israeliti.

Molto spesso si afferma che il titolo del film avrebbe dovuto essere Il Führer regala una città agli ebrei; in realtà, è più probabile che il lavoro dovesse assumere una denominazione più neutra: Theresienstadt. Documentario da un insediamento ebraico.

Come già era accaduto per le visite della Croce Rossa (e, in parte, sfruttando il lavoro già fatto per l’arrivo della delegazione internazionale, il 23 giugno 1944) il ghetto venne ripulito completamente. Scartate le persone magre o malate, tutte le altre vennero in pratica impegnate come comparse: un gruppo di bambine, ad esempio, venne ripreso mentre mangiava in abbondanza, mentre varie persone (uomini e donne, cui venne ordinato di mostrarsi allegri) divennero protagonisti di scene girate in vari laboratori di sartoria e falegnameria. Infine, nel vasto cortile della caserma Amburgo, venne impiantato un campo da calcio e fu organizzata una partita con finti giocatori, mentre un pubblico ancora più finto faceva il tifo.

La messa da Requiem

Qualche tempo dopo la fine delle riprese, regista, tecnici e comparse furono tutti deportati ad Auschwitz. Una sorte identica toccò al direttore d’orchestra Rafael Schächter, ai musicisti e ai coristi che eseguirono la messa da Requiem di Verdi, nell’estate del 1944, in occasione di una visita di Eichmann. L’esecuzione ebbe luogo nell’ospedale, trasformato in teatro, dopo un frettoloso e brutale sgombero di tutti i malati.

Tutte le testimonianze concordano nell’affermare che il complesso lavoro di Verdi venne suonato e cantato in modo magistrale; inoltre, nei ricordi dei superstiti, si è impressa in modo indelebile l’enfasi con cui i coristi innalzarono l’invocazione: <<Libera nos!>>.

Alcune scelte di Schächter furono coraggiose e polemiche. Intanto, dopo aver imparato che l’esecuzione avrebbe avuto luogo di fronte ad Eichmann e ad altre autorità naziste, il direttore disse in modo esplicito al comandante del campo che nessuno - né lui, né i musicisti - sul palco, avrebbe fatto l’inchino al pubblico. Inoltre, nel momento in cui decise di mettere in scena un’opera non ebraica, bensì cattolica, musicata da un italiano, Schächter (che oltre tutto, personalmente, era ateo) si propose lanciare un preciso messaggio di valore universale, rifiutando qualsiasi razzismo. Come quell’opera poteva esprimere i tormenti e le speranze degli ebrei rinchiusi a Terezín, allo stesso modo, secondo Schächter, qualunque essere umano non ebreo avrebbe potuto riconoscersi in tutte quelle opere che invece i nazisti disprezzavano e giudicavano degenerate, solo perché prodotte da artisti ebrei.

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