I bambini di Terezìn

Il problema degli alloggi
Terezín, bambini di che entrano a scuola. Disegno realizzato nel 1942, dalla dodicenne Helga Weissova.Si sente molto spesso dire che Terezín fu il ghetto dei bambini (o il lager dei bambini). Questa espressione corrente si è consolidata per il fatto che nella sinagoga Pinkasova di Praga – la stessa sulle cui pareti sono incisi i nomi degli ebrei cechi deportati – sono esposti numerosi disegni infantili provenienti dalla Grande fortezza, spesso accompagnati da brevi testi poetici.

L’espressione è decisamente infelice, dal momento che per i nazisti – semmai – Theresienstadt era un Altersghetto, cioè un ghetto per anziani; inoltre, sull’intera popolazione, i bambini furono sempre solo un’esigua minoranza. Tuttavia è vero che, sulle 140 000 persone che in tutto transitarono da Terezín, 15 000 circa furono bambini. Alla liberazione, se ne trovarono ancora 1633.

La ragione di questa consistente presenza infantile va trovata nel fatto che a Theresienstadt (come per altro nei ghetti polacchi o lituani) furono internate intere comunità, composte da ebrei di entrambi i sessi e di tutte le età. Ovviamente, la maggior parte di loro erano cechi, ma alcuni erano anche olandesi, danesi e tedeschi. A prendersi cura dei bambini fu in primo luogo Jacob Edelstein, che chiese ai nazisti di poter creare degli alloggi speciali, tutti per loro.

All’inizio del 1943, quasi tutti i bimbi di Terezín vivevano in case per l’infanzia (dai 10 ai 15 anni) o in asili (dai 5 ai 10 anni). Edelstein voleva sottrarli alle tensioni (e al crescente degrado morale) esistenti all’interno delle sovraffollate caserme degli adulti e offrire ai giovanissimi un’adeguata educazione.

L’istruzione come strumento di resistenza

Ogni gruppo di bambini viveva in una stanza (chiamata Heim, cioè casa) che costituiva una specie di unità sociale separata. I piccoli erano educati all’autonomia (dovevano pulirsi la stanza e andare da soli a prendere i pasti dalla cucina centrale), ma anche alla solidarietà sia verso i compagni più giovani, sia verso i numerosi anziani soli presenti nel ghetto.

Le case dei bambini erano meno affollate di quelle degli adulti, il vitto era migliore e più abbondante. Una volta alla settimana c’era la possibilità di incontrare le famiglie: un’opportunità che, per alcuni bambini, si trasformava in un obbligo morale e in una sofferenza, visto che molti genitori deperivano nel fisico o nel morale.

All’inizio, le lezioni scolastiche erano vietate, e quindi tutte le attività culturali per l’infanzia erano clandestine. I vari gruppi erano seguiti da assistenti maschi e femmine, e molti di questi educatori erano sionisti convinti. Pertanto, gran parte dell’educazione verteva su temi ebraici; il canto e il disegno occupavano un posto importante, a causa dell’assenza di libri di testo.

I circa quattromila disegni che si sono conservati vanno attribuiti in larga misura all’attività didattica di Friedl Dicker-Brandeis, una famosa pittrice della Bauhaus rinchiusa a Theresienstadt, che incoraggiò il disegno infantile come valvola di sfogo delle paure e delle tensioni emotive.

Approfondimenti

Azioni sul documento