La liberazione degli ebrei danesi

Paul Aron Sandfort è nato ad Amburgo nel 1930 da genitori ebrei. Emigrato in Danimarca nel 1936, fu comunque catturato dai nazisti nel 1943 e inviato a Theresienstadt. Nel 1997, ha pubblicato in lingua danese Ben, un lungo racconto autobiografico in cui la descrizione del soggiorno a Terezín occupa un posto centrale. Il passo seguente descrive l’odissea attraverso la Germania, nel febbraio del 1945, allorché Himmler concesse alla Croce Rossa svedese di prelevare da Terezín gli ebrei danesi superstiti.

C’erano ventidue autobus bianchi, con la grande croce rossa dipinta sulle fiancate e sui tetti, in modo che i bombardieri alleati li potessero riconoscere con il loro carico di persone e di bagagli.

Stavano stretti, ma non importava. Ben e Kalle erano seduti accanto all’autista svedese e seguivano le sue manovre attraverso la campagna e le città, in Cecoslovacchia e in Germania. Accanto all’autista c’era un soldato tedesco col fucile, perciò bisognava stare attenti a non dimostrare troppa allegria. Pensa se i tedeschi avessero cambiato idea all’ultimo minuto! Bisognava anche continuare a tenere le stelle giudaiche sui vestiti. La mamma era seduta dietro a Ben insieme al patrigno. Mormorava in continuazione: <<Buon Dio, grazie per averci salvato, grazie buon Dio…>>. […]

Passando per Dresda, per ore e ore non incontrarono altro che rovine annerite di case bombardate e cumuli di macerie fumanti. Di tanto in tanto il conducente doveva scendere a rimuovere dalla carreggiata travi in fiamme, per poter proseguire. Altre volte dovevamo tornare indietro e imboccare altre strade per riuscire ad attraversare la città.

Avevano viaggiato tutto il giorno, quando giunsero a Berlino a tarda sera. Oramai si trattava di riuscire a passare prima che il fronte orientale e quello occidentale si incontrassero.

Ma ecco un’incursione aerea. Dovettero scendere tutti a ripararsi nel fossato che costeggiava la strada. Le bombe esplodevano e il cielo veniva illuminato dai roghi degli edifici in fiamme; i coni di luce della contraerea tedesca scivolavano avanti e indietro cercando al di sopra di loro con movimenti circolari.

Gli aerei inglesi bombardarono Berlino per ore, prima di allontanarsi e portarsi dietro il loro rombo. Dopo aver atteso che anche il rumore dei cannoni della contraerea si fosse spento, risalirono tutti sugli autobus e ripartirono  in piena notte dalla città in fiamme.

Dopo un lungo giorno di viaggio, durante il quale dovettero scendere parecchie volte in fretta dai veicoli per ripararsi dai bombardamenti, la sera arrivarono ad Amburgo. La città era ormai ridotta ad un enorme deserto di rovine desolate: muri crollati, crateri di bombe, gente vestita solo di stracci che provava a rimuovere gli ostacoli… Questa era la città dove Ben era nato! Fu tanto difficile proseguire che dovettero dormire in autobus.

A mezzogiorno del giorno seguente arrivarono finalmente alla frontiera danese. Sul cartello c’era scritto KRUSÅ [ è il nome della prima località che si incontra in terra danese, passando dalla Germania alla Danimarca – n.d.r.]. Ormai il potere del soldato tedesco era infranto. Certo, rimase sull’autobus, ma nessuno si curava più di lui. Tutti esultavano e si staccavano di dosso le stelle. John aveva un coltello, che non si sapeva da dove provenisse. Si era tolto la stella ormai da molto e ora aiutava la mamma e Moritz a togliersi le loro. L’autista svedese prestò a Ben un paio di forbici.

Che sensazione singolare liberarsi da quella maledizione portata addosso per tanto tempo. Dapprima Ben gettò via la sua stella, via, fuori dal finestrino! Ma poi si chinò sul pavimento dell’autobus a raccoglierne un’altra. La voleva conservare per farla vedere un giorno ai suoi figli!

Poi ricevettero vero pane di segale con burro e formaggio, e vero latte di mucca appena munto. Si erano completamente dimenticati che sapore avesse! Ben ne bevve un bicchiere dopo l’altro, finché non si sentì scoppiare per quanto era pieno!

I danesi li salutavano sorridenti e gridavano: <<Bentornati a casa!>>. E attraverso i finestrini aperti gettavano sigarette, dolci e cioccolato; sull’autobus era tutto un fumare e uno sgranocchiare senza sosta.

(P. A. Sandfort, Ben. Storia di un giovane ebreo sopravvissuto all’Olocausto, Roma, Sovera, 2001, pp. 240-241)

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