I primi provvedimenti antisemiti

Gli ebrei in Italia
Sassuolo (MO), 1° ottobre 1938. Dichiarazione di appartenenza alla razza ariana, divenuta requisito essenziale per poter frequentare le scuole.Il 22 agosto 1938, venne effettuato un censimento al fine di individuare, contare e schedare gli ebrei residenti in Italia. L’operazione registrò 46 656 individui, 37 241 dei quali erano italiani, il resto (9415) stranieri, ma residenti in Italia da oltre sei mesi. In sostanza, verso la fine degli anni Trenta, <<gli ebrei d’Italia costituivano poco meno dell’1,1 per mille della popolazione complessiva residente nel paese>>.

Gli ebrei italiani erano distribuiti in modo fortemente ineguale, sul territorio nazionale. Nelle regioni a sud di Roma, il numero degli israeliti presenti era quasi nullo; nel centro-nord, la maggioranza di loro risiedeva in città medie o grandi. Le comunità più importanti erano quelle di Roma (11 000 circa), Milano (circa 7000) e Trieste (circa 5000).

I primi provvedimenti riguardarono la scuola e gli ebrei stranieri. Un Regio decreto-legge del 5 settembre 1938 (n. 1390), intitolato Provvedimenti per la difesa della razza e firmato dal ministro Bottai, stabilì l’esclusione con effetto immediato dei docenti ebrei dalle scuole statali. Solo nell’ambito dell’Università, vennero esclusi dall’insegnamento 96 docenti. Il decreto prevedeva inoltre il divieto di iscrizione per gli alunni ebrei alle stesse scuole degli alunni di razza ariana; un altro decreto- legge (il n. 1630, del 23 settembre) stabilì in seguito la costituzione di speciali sezioni per alunni ebrei, nelle scuole elementari statali, e la facoltà delle comunità ebraiche di aprire proprie strutture scolastiche.

Quanto agli ebrei stranieri, il Regio decreto-legge del 7 settembre (n. 1381) revocò la cittadinanza italiana concessa a <<stranieri ebrei posteriormente al 1° gennaio 1919>>, mentre intimava a tutti gli ebrei stranieri di abbandonare entro sei mesi il territorio del Regno.

Il problema delle motivazioni

Non è facile definire con precisione le motivazioni che spinsero Mussolini ad assumere una posizione antisemita sempre più rigida e determinata. L’unico elemento certo riguarda la totale assenza di documentazione, a sostegno di una diretta influenza tedesca: Mussolini agì di propria iniziativa, e non sotto pressione di Hitler, che non chiese assolutamente mai al Duce (nel momento in cui l’alleanza militare andava rafforzandosi) di adeguare la legislazione razziale italiana a quella del Terzo Reich.

Le considerazioni e gli obiettivi di Mussolini furono di vario tipo. Una prima preoccupazione riguardava l’autonomia d’azione delle comunità ebraiche, che il Duce sopportava sempre di meno, man mano che avanzava il suo disegno di controllo totalitario sull’intera società italiana. In secondo luogo, va ribadito lo sforzo mussoliniano di costruire l’uomo nuovo fascista, in un contesto di entusiasmo per l’impero appena conquistato. Nella concezione del Duce, occorreva rafforzare con ogni mezzo negli italiani il senso della propria superiorità, e il razzismo serviva egregiamente a questo scopo.

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