La memoria dei crimini di Stalin

Nel suo romanzo Vita e destino, lo scrittore ebreo russo Vasilij Grossman presenta un grandioso ritratto corale dell’URSS degli anni Trenta e Quaranta. Nella pagina seguente, un padre racconta al proprio figlio gli orrori della deportazione. La maggior parte dei kulak, infatti, fu condotta in regioni remote e inospitali, prive delle più elementari infrastrutture. Moltissimi deportati morirono di fame.

La notte si confidò. Parlava pacatamente. Quello che raccontava poteva essere espresso solo con calma, si poteva dire solo in sordina. Tra le lacrime non sarebbe stato possibile arrivare fino in fondo.

Su una cassa coperta da un giornale c’erano le cose che aveva portato suo figlio e mezzo litro di vodka. Il vecchio parlava e il figlio seduto accanto ascoltava.

Il padre raccontava della fame, della morte dei compaesani, e delle vecchie impazzite, dei bambini i cui corpi erano diventati più leggeri di una balalajka, più leggeri di una gallinella. Raccontava dell’urlo della fame sospeso sul villaggio giorno e notte; raccontava delle casupole inchiodate, delle loro finestre accecate.

Raccontava al figlio dei cinquanta giorni di strada percorsi d’inverno nel carro merci col tetto bucherellato, dei morti che erano rimasti nel convoglio giornate intere in compagnia dei vivi.

Raccontava come gli immigrati coatti andavano a piedi; le donne con i bambini in braccio. Anche la madre malata di Ersov si era trascinata per quel tratto a piedi alla ricerca di riparo, con la mente che già cominciava ad annebbiarsi. Raccontava che li avevano condotto in pieno inverno in un bosco dove non c’era né un rifugio né una capanna e che lì avevano cominciato una nuova vita, tagliando canne e preparando giacigli con rami di pino, squagliando la neve in pentolini, seppellendo i morti...

"É la volontà di Stalin" disse il padre, e nelle sue parole non c’era né odio né offesa; così parla la gente semplice di un destino potente che non conosce incertezza.

(V. S. Grossman, Vita e destino , Milano, Jaka Book, 1998, pp. 312-313. Traduzione di C. Bongiorno)

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