Rapporti dell'ambasciatore italiano a Mosca

Negli anni 1930-1934, i diplomatici italiani tennero costantemente informato Mussolini della situazione politica, sociale ed economica dell’URSS. I due testi che riportiamo sono del 1933, l’anno della grande carestia che investì soprattutto l’Ucraina e la regione del Caucaso settentrionale.

Ambasciata d’Italia

N. 2769/1388

Mosca, 20 giugno 1933 – Anno XI

 

Reputo opportuno far seguire alle notizie di dettaglio inviate a proposito della carestia nell’Urss per questa o quella regione un quadro generale della situazione.

Come già nello scorso anno, ma in proporzioni assai più vaste, la carestia si fa sentire in questi mesi che precedono il raccolto con particolare intensità e, benché non ufficialmente proclamata, costituisce l’elemento dominante dell’attuale situazione sovietica. [...]

A parte l’ampiezza del territorio colpito (è relativamente salvo questa volta soltanto un piccolo tratto del territorio superiore del Volga, perché più intensamente industrializzato), occorre rilevare per rendersi conto della gravità della situazione odierna, della diversità delle sue origini da quella del 1921. Si trattava allora infatti di contadini che, costretti a tralasciare ogni coltura durante l’imperversare della guerra civile oppure spossessati, si erano trovati poi nell’impossibilità di ridare vigore all’agricoltura. Domato il flagello, al che non poco contribuirono le spedizioni straniere di soccorso, il contadino si trovò finalmente di fronte alla speranza di lavorare la propria terra quale gli era stata promessa dai bolscevichi fin dal 1917. La ripresa fu infatti rapida e pressoché generale sicché già nel 1923 la Russia poteva riprendere le esportazioni di grano.

La ragione prima della carestia attuale va invece ricercata nel disinteresse del contadino a lavorare una terra non più sua [a seguito della collettivizzazione delle campagnen.d.r.] e nella sua resistenza a dare allo Stato il frutto del proprio lavoro. Le promesse del 1917 non sono state mantenute e il governo bolscevico si trova ora, a detta dei suoi stessi organi, di fronte ad una opposizione sorda ed invisibile che forse soltanto con l’avvento di nuove generazioni educate alla comunista potrebbe essere del tutto domata e sconfitta.

I rapporti dei RR. [= regi – n.d.r.] Consoli [= funzionari incaricati di tutelare all’estero gli interessi di un determinato Stato, in questo caso l’Italia; a differenza degli ambasciatori, che risiedono in una capitale straniera, i consoli operano in città periferiche – n.d.r.] in Kharkov e Novorossijsk [città dell’Ucraina e del Caucaso settentrionale – n.d.r.], che ripetono le identiche visioni riferite in pari tempo dagli altri Consoli stranieri ai loro governi, sono di una apocalittica semplicità. La popolazione muore falciata dalla "malattia della fame" resa tanto più crudele e terribile dalla assoluta, voluta mancanza di qualsiasi soccorso.

La carestia, ho già detto, non esiste ufficialmente e pertanto le torme di donne, di bimbi, di uomini, che cercano di che sostentarsi, sono ridotte a frugare fra i rifiuti più indescrivibili quanto possa loro ricordare il cibo. Paglia, corteccia d’albero, foglie, sterco persino vengono adoperati senza che nessuno possa sperare nel soccorso e neppure nel compianto dei suoi simili e dello Stato. Gli affamati infatti non vengono considerati vittime di una tragedia, ma vittime della loro stessa colpa in quanto nemici della nuova costruzione socialistica. [...]

Nell’attuale momento adunque, più di un terzo del territorio della Russia Europea, e precisamente la parte più fertile di esso, è in piena, gravissima carestia, che minaccia direttamente 50 milioni di persone, mentre i rimanenti due terzi, senza potersi dire "tecnicamente" affamati, vivono una vita misera e grama.

Secondo i calcoli dell’ufficio agrario di questa Ambasciata di Germania [= dell’ambasciata tedesca a Mosca – n.d.r.], nei primi sei mesi del 1933 la carestia avrebbe ucciso [...] almeno tre milioni di persone e, fenomeno molto più impressionante, il ritmo dei decessi tenderebbe a diventare più celere in considerazione della minore resistenza offerta dagli organismi alle difficoltà dell’esistenza.

Attolico

 

 

R. Ambasciata d’Italia

Telespresso n. 3953/1494

Mosca, 11 luglio 1933 – Anno XI

 

Il Dott. Schiller, addetto alla locale Ambasciata germanica per le questioni agricole è recentemente tornato da un viaggio in Ucraina durante il quale ha percorso in automobile più di 4500 km. Contemporaneamente è giunto a Mosca chiamatovi da questo ambasciatore di Germania il dott. Dittlof Direttore della Concessione agricola tedesca della Drusag nella regione fra il Kuban ed il Caucaso settentrionale.

Da essi ho potuto raccogliere interessanti notizie sulla situazione generale delle zone agricole di maggiore importanza per l’Urss.

Secondo il dott. Schiller la situazione alimentare in cui versa la popolazione ucraina ha ormai raggiunto un minimo al di là del quale non potrà più scendere. Egli ha mostrato fotografie, da lui prese, di villaggi in cui si scorgono per le strade i cadaveri ancora insepolti di abitanti morti per fame, di interni di capanne con dentro cadaveri di bimbi abbandonati perché incapaci di fuggire ed, orribile a dirsi, come già nel 1921, di corpi umani tagliati a pezzi.

Il numero dei morti e la fuga delle popolazioni, sono i due fenomeni che più colpiscono l’osservazione. Dal calcolo delle percentuali dei decessi raccolte nei distretti e nelle città di Kharkov, Kiev, Orel e Kursk, nel periodo settembre 1932 – giugno 1933, si raggiungerebbe la fantastica cifra, destinata ad accrescersi nei mesi ulteriori, di sei milioni di morti.

Quanto alla fuga delle popolazioni essa avrebbe già raggiunto il suo massimo nell’autunno scorso e sarebbe ormai in forte diminuzione. Le leggi sulla fissazione dei contadini della terra (13 sett. u.s.), quella sui furti agrari (8 agosto u.s.), quella infine sui passaporti (4 dic. u.s.) la aumentata sorveglianza poliziesca nelle campagne ed i divieti di acquistare i biglietti ferroviari avrebbero notevolmente arginato questo esodo senza meta.

Fermati nei loro villaggi e impossibilitati a ricorrere alla elemosina delle città ormai ridotte esse stesse in pessime condizioni e assolutamente privati di ogni soccorso, ai contadini dell’Ucraina non è stata lasciata altra scelta che quella di lavorare per il governo per ottenere un minimo di cibo, o morire letteralmente di fame.

In questo, secondo il dott. Schiller, starebbe il segreto della rinascita della agricoltura ucraina che, ridotta nello scorso anno in condizioni deplorevoli per l’incuria e il sabotaggio delle masse rurali, si presenta quest’anno in buone condizioni e fa prevedere ottimo raccolto. Le cattive erbe sarebbero state estirpate, il grano ben seminato, maggiori cure rivolte al bestiame che per moltissimi piccoli proprietari ha finito per rappresentare l’ultima salvezza.

La grande abilità del governo è consistita dunque nell’aver saputo usare l’arma della carestia. I contadini stremati di forze muoiono talvolta sul lavoro, ma rendono colla forza della disperazione quel tanto che basta per aiutare l’opera della massa. [...]

B. Attolico

(A. Graziosi (a cura di), Lettere da Kharkov. La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani, 1932-33; Torino, Einaudi, 1991, pp. 174-180 e 192-193)

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