La costruzione del Belomorkanal tra propaganda e realtà

Nelle pagine di Arcipelago Gulag in cui descrive la costruzione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, Solzenicyn imita volutamente il tono retorico con cui essa fu celebrata dalla propaganda di regime. Nel contempo, l’autore svela la drammatica realtà di quella grandiosa opera di ingegneria, costruita praticamente a mani nude, dal duro lavoro dei prigionieri.

Intanto, senza posa, risuona nelle orecchie: "IL CANALE VIENE COSTRUITO PER INIZIATIVA E SU ORDINE DEL COMPAGNO STALIN". La radio nelle baracche, sul cantiere, presso un ruscello, nell’iba della Carelia, dall’autocarro, la radio che non dorme né di giorno né dinotte (immaginatevelo!), quelle innumerevoli bocche nere, maschere funeree prive di occhi (bella immagine!) urlano incessantemente quello che pensano del canale i cekisti dell’intero paese, quello che ha detto il partito. Pensalo anche tu, pensalo anche tu. "Natura domata, libertà acquistata!". Evviva l’emulazione e il lavoro d’urto! Emulazione fra le brigate! Emulazione fra le falangi (250-300 uomini)! Emulazione fra collettivi di lavoro! Emulazione fra le chiuse! Infine, emulazione anche fra la scorta armata e i detenuti! (La scorta s’impegna a custodirvi meglio?). [...]

All’inizio del 1933, nuovo ordine di Jagoda: dividere tutta l’amministrazione in stati maggiori di settori di combattimento. Mandare il 50% della forza nei cantieri (ma le pale bastano?). Lavorare in tre turni (è quasi la notte polare). Dar da mangiare direttamente sul posto di lavoro (cibo freddo)! Processare per la tufta [= far solo finta di lavorare, per non sprecare preziose energie – n.d.r.].

Nel gennaio è l’ASSALTO DELLO SPARTIACQUE. Tutte le falangi con le cucine e le attrezzature sono trasferite in un unico luogo. Le tende non bastano, si dorme sulla neve, poco importa, CE LA FACCIAMO! Il canale si costruisce su iniziativa...

Da Mosca giunge l’ordine n. 1: "Annunziare l’assalto ininterrotto fino alla fine della costruzione!". Quando finisce la giornata lavorativa mandano nel cantiere le dattilografe, le lavandaie, le impiegate. In febbraio si proibiscono le visite in tutto il BelBaltLag [= Lager Mar Bianco-Mar Baltico – n.d.r.], non si sa se per una minaccia di tifo petecchiale o per premere sui detenuti.

In aprile è un assalto ininterrotto di 48 ore – urrah! TRENTAMILA UOMINI NON DORMONO!

E per il 1° maggio 1933 il commissario del popolo Jagoda può riferire all’amato Maestro che il canale è stato fatto entro il termine indicato. [...]

Per quanto tetre paressero le Solovki, i suoi abitanti, mandati a terminare la pena (e forse la vita) sul mar Bianco sentirono solo allora che la cosa diventava seria, solo allora si scoprì che cosa fosse un autentico lager quale lo conoscemmo a poco a poco tutti noi. Invece del silenzio delle Solovki, un incessante turpiloquio, il selvaggio rumore di liti, misto all’agitazione educativa. Perfino nelle baracche del lager di Medvezegorsk presso l’amministrazione del BelBaltLag si dormiva sui pancacci a castello (già inventati), non quattro a quattro ma in otto: due su ogni tavola, i piedi dell’uno verso la testa dell’altro. Invece degli edifici di pietra del monastero vi erano baracche provvisorie dove tirava vento, oppure tende, quando non si dormiva semplicemente sulla neve. [...] D.P. Vitkovskij, che era stato alle Solovki e aveva lavorato sul canale come capomastro salvando la vita a molti con la tuchta, ossia registrando volumi di lavoro inesistenti, descrive così una serata:

"Alla fine della giornata lavorativa sul cantiere rimangono dei cadaveri. La neve ricopre le loro facce. Qualcuno si è rannicchiato sotto una carriola capovolta, ha nascosto le mani in tasca ed è morto così. Là sono congelati in due, appoggiati uno alla schiena dell’altro. Sono giovani contadini, i migliori lavoratori che si possano immaginare. Li spediscono sul canale a decine di migliaia alla volta, e cercano di far sì che nessuno capiti nel medesimo lager con il padre: vengono separati. Viene loro subito assegnato un quantitativo di ghiaia e massi che non si potrebbe estrarre neppure d’estate. Nessuno può insegnare loro, avvertirli, essi spendono per intero le proprie forze da gente di campagna, si indeboliscono rapidamente e così muoiono assiderati, abbracciati a due a due. Di notte parte una slitta per raccattarli. I carrettieri buttano i corpi sulle slitte con un tonfo, legno contro legno. D’estate si trovano le ossa dei cadaveri non raccolti per tempo, capitano insieme alla ghiaia nella betoniera. Così sono finiti nel calcestruzzo dell’ultima chiusa presso la città di Belomorsk e là si conserveranno per sempre".

(A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa. III-IV, Milano, Mondadori, 1995, pp. 97-103. Traduzione di M. Olsùfieva)

Azioni sul documento