L'arrivo a Ravensbrück di una donna italiana

Maria Massariello Arata è nata a Massa nel 1912, ma visse a Milano, dove fu arrestata il 4 luglio 1944, per propaganda antifascista e sostegno ai partigiani. Come Lidia Beccaria Rolfi, anche lei fu dapprima catturata dai militi fascisti. Consegnata ai tedeschi, arrivò a Ravensbrück l’11 ottobre 1944.

Lentamente si avvicina il nostro turno all’ufficio matricola e furtivamente veniamo avvicinate da prigioniere che insistono per avere da noi quel cibo e quegli indumenti ai quali, nonostante i loro avvertimenti, siamo tenacemente attaccate perché speriamo ancora di poter conservare. Le prigioniere cercano anche oro e gioielli che promettono di salvare, seppellendoli ai piedi di certi alberi che indicano qua e là. Alcune mie compagne credono, ma naturalmente il giorno dopo hanno la sorpresa di Pinocchio.

Finalmente raggiungo l’ufficio matricola. Un bancone divide il luogo dove si agitano le prigioniere contraddistinte da triangoli viola e verdi nella loro importante funzione e le prigioniere neo-arrivate. Per prima cosa ci vengono in malo modo strappati i pacchi dei viveri, poi dobbiamo dichiarare le nostre generalità, il luogo di provenienza, specificare il nostro lavoro, dati che vengono riportati su una scheda. Dobbiamo pure consegnare tutto il denaro e i gioielli: riesco a sottrarre duemila lire nel fondo dell’astuccio degli occhiali. Segue la spoliazione. Vengono requisiti tutti gli indumenti personali che sono raccolti in sacchi di carta a simboleggiare la loro restituzione alla fine della pena.

Tutto questo è doloroso materialmente e molto di più psicologicamente, ma traumatizzante veramente è la visita che segue. Sfiliamo nude in uno stanzino dove insieme alle Aufseherin [= guardiane SS – n.d.r.] sono alcune prigioniere con triangolo viola. Sediamo su uno sgabello dove siamo ispezionate sulla testa, sotto le ascelle e sul pube. Non dobbiamo essere portatrici di pidocchi e di piattole! Una qualsiasi traccia, anche soltanto qualche vecchia lendine, dà pretesto alla tosatura più completa dei capelli e di qualsiasi peluria sotto le ascelle e sul pube. Con quale soddisfazione le prigioniere con funzioni di Aufseherin tagliano i capelli ed a chi implora e supplica, con fervore diabolico sostengono che il taglio rende la capigliatura più bella e rigogliosa. Così di una bella, amabile testa ricciuta in pochi attimi ne fanno una tristemente glabra e perfettamente liscia.

Da ultimo dobbiamo subire l’esplorazione della vagina per impedire l’occultamento di anelli o di altri preziosi in genere. Così stordite, umiliate, offese nella nostra intimità siamo convogliate nella grande sala della doccia dove siamo già state ammucchiate nella notte. All’ingresso ci vengono distribuiti un piccolo asciugamano ed un pezzetto di sapone. Dobbiamo aspettare la somministrazione dell’acqua. Digiune, tremanti per il freddo e l’umidità, cerchiamo un po’ di calore, addossandoci le une alle altre, vincendo il naturale ribrezzo verso corpi spesso non più giovani, afflosciati, deturpati da piaghe.

É l’incontro con il mondo del Lager, l’entrata coatta in una comunità estranea alla quale bisogna aderire per sopravvivere. É la costrizione all’annullamento del nostro io, di tutto quello che può esserci in noi di più gelosamente intimo.

(M. Massariello Arata, Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück, Milano, Mursia, 1979, pp. 28-29)

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