Il rito dell'appello e la partenza dei detenuti per il lavoro

Austriaco, Hans Marsalek fu internato per alcuni anni a Mauthausen, ove lavorò come scrivano in un ufficio. Poiché gli fu possibile, già durante la guerra, visionare personalmente numerosi documenti relativi la vita e l’amministrazione del lager, dopo la liberazione Marsalek è stato uno dei primi a ricostruire l’intera vicenda del campo di Mauthausen.

Le condizioni di vita peggiori riguardarono dall’autunno del 1940 al dicembre del 1943 i prigionieri ebrei, dall’ottobre del 1941 alla fine del 1942 i prigionieri di guerra sovietici e negli anni 1944/45 i K-Häftlinge [= i prigionieri K, destinati alla fucilazione; la lettera K sta per Kugel, pallottola – n.d.r.], negli anni 1940 e 1941 i polacchi, nel 1941 e 1942 gli spagnoli e i cechi, poi jugoslavi, italiani e ungheresi. Soprattutto i più anziani o i più deboli fisicamente di qualsiasi nazionalità, oltre agli appartenenti alla compagnia di disciplina, vivevano solo poche settimane se non addirittura pochi giorni. [...]

La sopravvivenza di un detenuto nel lager era in media molto breve e ammontava a:

dall’agosto del 1938 fino all’autunno del 1939: circa 15 mesi;

dall’inverno del 1939/40 fino al tardo autunno del 1943: circa 6 mesi;

poi circa 9 mesi;

e dall’inverno del 1944/45: circa 5 mesi.

Tutti i nuovi arrivi (esclusi quelli che erano stati trasportati lì da un altro campo di concentramento) venivano portati dapprima nel cosiddetto lager della quarantena, dove erano costretti a rimanere dalle 2 alle 3 settimane. Solo nei periodi dell’epidemia di tifo il tempo di quarantena venne un po’ prolungato. Dopo circa 3 giorni di sosta i detenuti venivano utilizzati dal lager di quarantena in diversi lavori di scavo e, fin dall’autunno del 1943, selezionati; gli anziani, i deboli dal punto di vista fisico, i malati, gli invalidi, gli intellettuali slavi venivano uccisi o fucilati auf der Flucht [durante un tentativo di fuga; l’espressione, in realtà, copriva e giustificava ogni forma di assassinio – n.d.r.]; dopo la fine del periodo di quarantena i sopravvissuti venivano trasferiti in una baracca del lager principale o in un lager secondario.

Nel lager principale e in quasi tutti i lager secondari i prigionieri venivano svegliati a colpi di campana: dalla primavera fino all’autunno alle ore 4.45, in inverno alle ore 5.45. Dopo la sveglia ci si doveva alzare subito e giornalmente si ripeteva questa attività affannata: i pagliericci dovevano essere spianati con delle assi, le sponde dei giacigli dovevano essere messe rigorosamente a posto, e le coperte sovrapposte in modo perfetto. Ci si doveva mettere davanti al gabinetto e al lavatoio, lavarsi e vestirsi velocemente, mettersi di nuovo in fila per la zuppa o il caffè, poi pulire le ciotole del cibo e mettere tutto nello stipo nel posto prescritto. Poi seguiva la formazione della fila per l’appello di conteggio dei detenuti, davanti alla baracca. Tutto ciò accadeva con spintoni, colpi, accompagnati dagli ordini del personale di blocco, ovvero le SS addette alle varie baracche, come ad esempio: raus (fuori!), schnell (veloce!), bistro (più veloce!) rapido (più rapidamente!), ausrichten (in riga!), marsch (in marcia!), ecc.

Che fosse estate o inverno, che ci fosse la pioggia, la neve, il ghiaccio, che splendesse il sole, la scena non cambiava: disposti in righe da venti per ogni baracca, a sinistra e a destra sulla piazza dell’appello, i detenuti attendevano l’apparizione delle SS. Dopo il loro arrivo, l’anziano di ogni baracca annunziava al Führer [capo, responsabile; l’espressione è generica e non indica un grado preciso, bensì una funzione – n.d.r.] responsabile del blocco il suo grado, le SS controllavano le indicazioni, le file di detenuti e il Führer addetto al rapporto oppure un altro Führer delle SS accoglieva le registrazioni del Führer di blocco. Dopo una esatta esecuzione Mützen ab, Mützen auf (togliersi il cappello, mettersi il cappello), risuonava l’indicazione della fine dell’appello, ovvero un grido riferito all’anziano del lager: Arbeitskommando formieren! (Formare il Kommando di lavoro). Quindi di nuovo un affannarsi che ricordava il lavoro di un mucchio di formiche: correre da una parte all’altra, un essere spinti di qua e di là ed, inoltre, un urlare all’impazzata e un contare ripetuto dei Capos.

In colonne predeterminate, chiuse e numerate, i detenuti marciavano in file da cinque sui loro posti di lavoro, che si trovavano o all’interno o all’esterno della grande catena di postazioni. A Mauthausen marciavano, nel primo Kommando di lavoro, quei detenuti che venivano utilizzati nella cava di pietra. Davanti al Jourhaus (stanza di servizio degli organi delle SS, collocata nella torre presso la porta di ingresso del lager) i detenuti dovevano eseguire un rituale d’onore: togliersi il berretto, eseguire il passo dell’oca e girare lo sguardo a sinistra.

Il monotono cigolio delle suole di legno, i visi segnati dalla paura di tante figure affamate, lo sforzo di mantenere il passo sempre uguale e non apparire la mattina presto disordinati, oltre agli urli imperanti dei Capos links, zwei, drei und vier; link, zwei, drei und vier (a sinistra, due, tre e quattro, a sinistra, due, tre e quattro) era uno scenario della quotidianità di Mauthausen, che si ripeteva sempre nello stesso modo.

(H. Marsálek, La storia del campo di concentramento di Mauthausen, Österreichische Lagergemeinschaft Mauthausen, Wien-Linz, 1999, pp. 42-44. Traduzione di P. Ferrari)

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