Un ritratto delle isole Solovki

La testimonianza più importante che abbiamo sulle isole Solovki ci è pervenuta da D.M. Lichacev, che fu arrestato nel 1928, ma pubblicò le sue memorie solo nel 1995. Il punto su cui l’autore mette l’accento è l’incredibile sovraffollamento che caratterizzava gli edifici dell’ex-monastero, trasformati in alloggi per i detenuti

Dalle conversazioni del 1929 ricordo che la densità della <<popolazione>> delle Solovki era superiore a quella del Belgio, fermo restando che gli spazi sterminati dei boschi e delle paludi non solo non erano abitati, ma erano addirittura inesplorati.

Che cos'erano, dunque, le Solovki? Un enorme formicaio? Sì, tanto che era difficile passare tra gli edifici. Per entrare e uscire dalla baracca 13, accanto alla chiesa della Trasfigurazione, c'era sempre ressa. I detenuti-guardiani <<mantenevano l'ordine>> con i manganelli. Nel contempo l'accesso e l'uscita erano consentiti solo con gli <<ordini>>, le disposizioni per il lavoro.

La notte sui passaggi tra gli edifici scendeva il silenzio. Le mura erano imponenti: quelle di torri e chiese si allargavano verso il basso.

Proverò ora a descrivere la dislocazione delle brigate nel lager. Nel Cremlino (così si chiamava la parte di edifici del monastero cinta da mura, massi giganteschi ricoperti di licheni color ruggine) c'erano quattordici brigate. La quindicesima, fuori del monastero, era per i detenuti che vivevano nelle diverse <<tane>> presso l'officina meccanica o la fabbrica di alabastro, presso il bagno numero 2, ecc. Il cimitero del lager veniva chiamato <<brigata 16>>. Era una battuta, ma sta di fatto che, d'inverno, in alcune brigate i cadaveri restavano insepolti e svestiti.

Perché i detenuti venivano suddivisi in brigate? Probabilmente dipendeva dal fatto che erano stati i militari prigionieri sull'isola a mantenere l'ordine tra i primi arrivati. I secondini non potevano, né tanto meno sapevano organizzare alcunché. In un primo momento l'unica forza organizzativa in grado di ripartire, sfamare e instaurare una primordiale forma di disciplina tra i detenuti che arrivavano sulle isole dell'arcipelago delle Solovki erano i militari, che si rifecero ai modelli di cui disponevano. [...]

Di tutte le brigate la tredicesima era la più grande e la più tremenda. Vi venivano destinati i nuovi arrivi, lì inquadrati per spezzare ogni velleità di protesta, e poi spediti ai lavori pesanti. Chiunque giungesse alle Solovki era obbligato a trascorrere non meno di tre mesi nella brigata 13 detta, per l'appunto, <<di quarantena>>.

La mattina ci facevano mettere in fila per l'appello lungo i corridoi che si snodavano intorno alle chiese della Trasfigurazione e della Trinità. Eravamo in file di dieci, ci si contava, e l'ultimo gridava <<Centottantaduesimo per file di dieci!>>.

É capitato che nella brigata tredici di quarantena si stipassero strette tre, quattro o anche cinquemila persone. Va da sé che avessimo tutti le pulci.

Solo ricorrendo a raccomandazioni particolari si riusciva a lasciarla prima del tempo. [...]

Le Solovki erano esattamente il luogo in cui l'uomo si trovava di fronte il prodigio e la quotidianità, il passato del monastero e il presente del lager, e gente di ogni morale, dalla più nobile alla più spregevole. [...] La vita alle Solovki era tanto assurda da non parere vera. <<Qui tutto si confonde come in un incubo terribile>>, si cantava in una delle canzoni del lager.

(D.M. LICHACEV, La mia Russia, Torino, Einaudi, 1999, pp.138-143. Traduzione di C. Zonghetti)

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