La natura delle Solovki
La natura delle isole Solovki stava letteralmente tra cielo e terra. Non tanto dal sole era rischiarata l’estate, quanto dal cielo sovrastante, alto, sconfinato; d’inverno la natura era immersa in tenebre basse e incombenti, addolcite solo dal lucore della neve e squarciate, talvolta, dai bagliori dell’aurora boreale, ora di un verde pallido, ora rosso sangue. Tutto tradiva la spettralità di quei luoghi e la loro vicinanza con l’aldilà...
Le isole erano diverse quanto a paesaggio. Le due Isole delle lepri, la Grande e la Piccola, su cui non cresceva nemmeno un albero, dovevano la propria bellezza agli straordinari accostamenti di colori – licheni, pietre e massi, cespugli e betulle polari – e alla vista sul mare di cui si poteva godere da ogni punto. Non c’era possibilità alcuna di perdersi. Tutto pareva selvatico, deserto, e solo i bassi labirinti rammentavano l’ingerenza dell’uomo.
Altre due isole, la Piccola e la Grande Muksalma, erano ricche di boschi e paludi, di alture a strapiombo sul mare e di grassi pascoli su cui le vacche avevano pascolato per secoli. La Grande Muksalma e l’Isola Grande erano collegate da un terrapieno artificiale. Anzer era splendida, con una vegetazione lussureggiante per non dire amena. Le spiagge di sabbia e i bellissimi boschi di latifoglie ricordavano il Sud. L’alto monte dell’isola, però, era coronato dall’eremo del Golgota, denominazione profetica delle intollerabili sofferenze di chi vi trovava la morte: vecchi, storpi e malati senza speranza, lì raccolti da tutto il lager, assiderati, torturati dalla fame, sepolti vivi. L’isola centrale, l’Isola Grande di Solovki, riassumeva in sé i paesaggi delle altre isole. Tra grandi e piccoli aveva trecento laghi con in seno altre isole su cui un tempo si rifugiavano gli eremiti e dove allora erano relegati i detenuti cui era negato ogni contatto.
Era un grande paradiso naturalistico, ma nel contempo un grande inferno per detenuti di ogni rango, ceto e nazionalità! In quel mondo di santità e peccato, di celeste e di terreno, natura e uomo erano uniti da una somiglianza inconsueta.
D.M. Lichaev,La mia Russia,Torino, Einaudi, 1999, pp.146-147. Traduzione di C. Zonghetti