La natura delle Solovki

D.S. Lichacev (1906-1999) fu un prestigioso storico della letteratura e dell’arte russa in età medievale. Dal 1928 al 1932 fu internato alle Solovki. Pubblicate nel 1995, le sue memorie costituiscono una fonte di eccezionale importanza per ricostruire la realtà del primo lager sovietico.

La natura delle isole Solovki stava letteralmente tra cielo e terra. Non tanto dal sole era rischiarata l’estate, quanto dal cielo sovrastante, alto, sconfinato; d’inverno la natura era immersa in tenebre basse e incombenti, addolcite solo dal lucore della neve e squarciate, talvolta, dai bagliori dell’aurora boreale, ora di un verde pallido, ora rosso sangue. Tutto tradiva la spettralità di quei luoghi e la loro vicinanza con l’aldilà...

Le isole erano diverse quanto a paesaggio. Le due Isole delle lepri, la Grande e la Piccola, su cui non cresceva nemmeno un albero, dovevano la propria bellezza agli straordinari accostamenti di colori – licheni, pietre e massi, cespugli e betulle polari – e alla vista sul mare di cui si poteva godere da ogni punto. Non c’era possibilità alcuna di perdersi. Tutto pareva selvatico, deserto, e solo i bassi labirinti rammentavano l’ingerenza dell’uomo.

Altre due isole, la Piccola e la Grande Muksalma, erano ricche di boschi e paludi, di alture a strapiombo sul mare e di grassi pascoli su cui le vacche avevano pascolato per secoli. La Grande Muksalma e l’Isola Grande erano collegate da un terrapieno artificiale. Anzer era splendida, con una vegetazione lussureggiante per non dire amena. Le spiagge di sabbia e i bellissimi boschi di latifoglie ricordavano il Sud. L’alto monte dell’isola, però, era coronato dall’eremo del Golgota, denominazione profetica delle intollerabili sofferenze di chi vi trovava la morte: vecchi, storpi e malati senza speranza, lì raccolti da tutto il lager, assiderati, torturati dalla fame, sepolti vivi. L’isola centrale, l’Isola Grande di Solovki, riassumeva in sé i paesaggi delle altre isole. Tra grandi e piccoli aveva trecento laghi con in seno altre isole su cui un tempo si rifugiavano gli eremiti e dove allora erano relegati i detenuti cui era negato ogni contatto.

Era un grande paradiso naturalistico, ma nel contempo un grande inferno per detenuti di ogni rango, ceto e nazionalità! In quel mondo di santità e peccato, di celeste e di terreno, natura e uomo erano uniti da una somiglianza inconsueta.

D.M. Lichaev,La mia Russia,Torino, Einaudi, 1999, pp.146-147. Traduzione di C. Zonghetti

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