I reclusi del monte Sekira

La chiesa sul monte Sekira, adibita a prigione, ospitava due tipi di reclusi: quelli destinati alla fucilazione stavano al piano superiore, senza contatti con l’esterno; i detenuti in punizione al piano terra uscivano per lavorare, ma erano costretti a vivere in condizioni gravissime. Le testimonianze sono estremamente rare, in quanto pochissimi detenuti sopravvissero alla prigionia punitiva.

 

Dal monte Sekira era raro che qualcuno tornasse indietro, e anche se tornava gli veniva appioppato un prolungamento della condanna, perché il Collegio amministrativo aveva il diritto di infliggere condanne senza l’intervento di Mosca, addirittura fino alla pena di morte! E di questo diritto il Collegio faceva ampio uso.

Una volta vidi un gruppo di detenuti della Sekira, condotti ai lavori di interramento del cimitero dove venivano sepolti i malati di scorbuto e di tifo. Il cimitero appestava l’aria, perché falde acquifere sotterranee avevano scalzato le fosse dei morti. Dico fosse, e non tombe, perché i detenuti venivano gettati appunto nelle fosse, come cani randagi.

Indovinammo che stavano avvicinandosi i reclusi della Sekira, al comando perentorio: - Giù dalla strada!

Ci facemmo precipitosamente da parte, e di fianco a noi sfilarono uomini stremati, dall’aspetto ferino, circondati da una nutrita scorta. In mancanza di abiti, alcuni erano rivestiti di sacchi. Nemmeno uno di loro aveva gli stivali ai piedi.

(J. Brodskij, Solovki le isole del martirio. Da monastero a primo lager sovietico, Seriate, La Casa di Matriona, 1998, p. 129. Traduzione di M. Dell’Asta e A. Vicini)

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