Storia di un luogo santo

E’ possibile che Aleksàndr Solzenicyn abbia intitolato Arcipelago Gulag il suo celebre libro (uscito nel 1974) proprio perché l’atto di nascita del sistema concentrazionario sovietico ebbe luogo sulle isole Solovki. Riportiamo il passo in cui l’autore tratteggia la storia del monastero.

Nel Mar Bianco, dove le notti sono bianche per sei mesi all’anno, l’Isola Grande delle Solovki sorge dall’acqua con le sue candide chiese contornate dalle mura del cremlino, rugginose di licheni; i gabbiani grigio-bianchi delle Solovki le avvolgono continuamente di voli e di strida.

"In quel chiarore sembra non esservi peccato... E’ come se la natura, là, non lo abbia ancora raggiunto nel suo sviluppo": in questo modo Prisvin sentì le isole Solovki.

Senza di noi quelle isole sorsero dal mare, senza di noi si coprirono di duecento laghi pescosi, senza di noi si popolarono di urogalli, lepri, renne, mentre non vi furono mai volpi, lupi o altri predatori.

I ghiacciai andavano e venivano, massi di granito si accumulavano intorno ai laghi che gelavano durante la notte invernale; il mare ruggiva nel vento e si copriva di una poltiglia di ghiaccio che si rapprendeva qua e là; mezzo cielo ardeva di aurore boreale; tornava la luce, tornava il tepore, crescevano e ingrossavano gli abeti, schiamazzavano gli uccelli lanciando richiami, buccinavano i giovani maschi delle renne, il pianeta girava con tutta la storia mondiale, regni nascevano o decadevano, mentre là continuavano a non esserci né animali rapaci nél’uomo. [...]

Mezzo secolo dopo la battaglia di Kulikovo [sconfitta dei mongoli-tatari, nel 1380 – n.d.r.] e mezzo millennio prima della Ghépéu, i monaci Savvataj e German attraversarono il mare di madreperla su una fragile barchetta e ritennero santa l’isola priva di animali rapaci. Con essi ebbe inizio il monastero di Solovki. Sorsero le cattedrali della Dormizione della Vergine e della Trasfigurazione, la chiesa della Decapitazione di San Giovanni sul monte Sekira, una ventina di chiese e un’altra ventina di cappelle, l’eremo del Golgota, quelli della Trinità, di Savvataj, di Muksalm, e solitari e remoti rifugi di anacoreti ed eremiti.

Vi fu compiuto molto lavoro, prima dai monaci stessi, poi dai contadini del monastero. I laghi furono uniti da decine di canali. Tubature di legno portarono l’acqua lacustre al monastero. E, cosa più meravigliosa, nel XIX secolo una diga di massi che si direbbero impossibili a sollevare, collocati in qualche modo sui banchi di sabbia, sbarrò il fiume Muksalma. Sulle rive della Muksalma maggiore e Minore pascolarono pingui greggi, i monaci amavano custodire gli animali, domestici e selvatici. La terrra di Solovki risultò non solo santa ma ricca, capace di nutrire molte migliaia di abitanti. [...]

Tuttavia non è mai esistito, non esiste – e chissà se esisterà mai? – uno sviluppo popolare non accompagnato dall’idea della guerra e del carcere.

L’idea della guerra. Non è davvero possibile, in fin dei conti, che irragionevoli monaci vivano semplicemente, su una semplice isola. L’isola è sul confine di un Grande Impero, quindi deve combattere contro danesi, svedesi, inglesi, e quindi bisogna costruirvi una fortezza con mura dello spessore di otto metri, edificarvi otto torri, praticarvi delle feritoie strette e asicurare la sorveglianza dalla cima del campanile della cattedrale.

Mentalità carceraria. Che bella cosa: solide mura di pietra su un’isola remota! Ci si possono rinchiudere criminali importanti e c’è già chi farà da guardia. Non gli impediremo di occuparsi della salvezza della loro anima, ma intanto possono sorvegliare i nostri prigionieri. Pensò forse a tanto Savvatij quando approdò all’isola santa?

A.Solzenicyn, Arcipelago Gulag 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa. III-IV , Milano, Mondadori, 1995, pp. 27-31. Traduzione di M. Olsùfieva

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