Etica e condizioni estreme

I musulmani
Auschwitz, 2006. La cosiddetta Lagerstrasse, la via più importante del campo Auschwitz II-Birkenau. Nell’estate del 1944, dopo la selezione sulla nuova rampa, questa strada era percorsa sia da coloro che erano condotti ai Crematori IV e V, sia da quanti andavano all’edificio chiamato Zentral Sauna, per essere registrati.Negli scritti di Primo Levi, alcuni termini e concetti ritornano con estrema frequenza: segno dell’importanza che lo scrittore dà loro, nella sua ricostruzione della vita in lager. La prima espressione ricorrente è l’antitesi sommersi-salvati, che ritroviamo anche nel titolo del saggio più importante che Levi scrisse sull’universo concentrazionario nazista, nel 1986. I sommersi sono tutti coloro che sono stati travolti dalla macchina distruttrice nazista: coloro che, selezionati sulla rampa ferroviaria, sono finiti subito nelle camere a gas (strutture che Levi, però, non descrive quasi mai, affermando di voler parlare solo dei fatti di cui ha avuto esperienza diretta) e coloro che, dopo circa tre mesi di lager, erano sfiniti a causa della fame e della fatica.

Nel gergo del campo, il prigioniero distrutto dal duro lavoro, dalle percosse e dalle privazioni era chiamato muselmann: un individuo solo biologicamente vivo, ormai privo di emozioni, di pensiero e di coscienza. Proprio ai musulmani, Primo Levi ha dedicato alcune delle pagine più terribili e toccanti di Se questo è un uomo: “La loro vita è breve, ma il loro numero è sterminato; sono loro, i Muselmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero”.
La zona grigia

Chi entrava nel lager, doveva sforzarsi di comprendere subito in che tipo di mondo alieno era stato proiettato. Soprattutto, doveva al più presto capire che, in lager, era del tutto sospeso e privo di validità il codice morale che regola la convivenza civile ordinaria. L'unico modo per sopravvivere era quello di sottrarsi ai lavori più duri e di trovare razioni supplementari di cibo; nella maggioranza dei casi, ciò era possibile solo ponendosi al servizio dei nazisti e, al limite, rendendosi loro complici nella gestione del campo.

Levi non si stanca di ripetere che il mondo del lager non era affatto semplice, cioè facilmente divisibile in carnefici e vittime; al contrario esisteva, ed era parte integrante del meccanismo del lager, una vasta e indistinta zonagrigia, composta da prigionieri che, per sopravvivere, accettavano posti di responsabilità e si ponevano ad un livello intermedio fra i nazisti e gli altri deportati, verso i quali spesso erano più violenti e brutali delle stesse SS.

Anche senza arrivare a questo caso-limite, nei lager era comunque pressoché impossibile ogni forma di solidarietà verso il prossimo: gli individui, per sopravvivere, erano costretti a cambiare la propria moralità, cioè ad abbandonare il modo abituale con cui, prima dell'internamento, si rapportavano col prossimo.

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