Il giudizio di Tzvetan Todorov

Nel 2000, lo studioso di origine bulgara Tzvetan Todorov pubblicò un lungo studio in cui tentava di confrontare le violenze dei due principali regimi totalitari del XX secolo e presentava alcuni intellettuali che si erano distinti per lucidità e coerenza nella lotta contro di essi: tra queste figure, Margarete Buber-Neumann, Vasilij Grossman e Primo Levi.

Che cosa ne è di ciò che sembra spesso la più stupefacente singolarità del regime nazista, la sua politica di annientamento delle razze inferiori e in particolare degli ebrei? Essa possiede realmente una specificità di cui occorre precisare la natura. Il senso singolare del giudaicidio non è nel numero dei morti, poiché Stalin provoca intenzionalmente la morte di altrettante persone, nel 1932-33. Essa non è, contrariamente a ciò che si dice spesso, nel fatto che le vittime sono colpite per quello che sono e non per quello che fanno, che diventano colpevoli per il solo fatto di essere nate; è anche il caso, in certi momenti particolari, dei membri delle classi di borghesi e di kulaki o anche di contadini, quando le donne e gli uomini, i bambini e i vecchi muoiono gli uni accanto agli altri in ragione della loro appartenenza al gruppo, non di un’azione qualunque; è proprio il gruppo intero che viene dichiarato indegno di vivere: Grossman aveva ragione a questo proposito.

Essa non è nella presenza di una decisione globale e di una pianificazione assunte dalle più alte autorità dello stato, qui ma non là: le ritroviamo da entrambe le parti. Essa non è, come a volte si suggerisce, nel fatto che i tedeschi erano popolo assai colto dell’Europa centrale: sappiamo, almeno a partire da Rousseau, che la cultura non produce automaticamente la virtù, e l’immoralità delle persone colte non dovrebbe più sorprenderci. Dove si situa allora?

Da una parte, la specialità di questo crimine risiede nel progetto omicida nazista. Si è visto che eliminare una parte dell’umanità per assicurare l’armonia finale era qua e là presente; essa è più radicale nell’ideologia comunista, che postula la scomparsa pura e semplice delle classi nemiche mentre il nazismo vuole eliminare certe razze (gli ebrei) e si limita a ridurre gli altri in schiavitù (gli slavi). Tuttavia, nella realtà, la bilancia pende dall’altra parte: nonostante il numero paragonabile di vittime, nulla può essere messo in parallelo con la distruzione sistematica, da parte dei nazisti, degli ebrei e degli altri gruppi giudicati indegni di esistere. Per dirla in una frase, mentre Kolyma e le isole Solovki sono l’equivalente russo di Buchenwald e di Dachau, non c’è mai stata Treblinka in Unione Sovietica.

E’ solo nei campi di sterminio nazisti che la condanna a morte diventa uno scopo in sé. E’ vero che gli ideologi nazisti, se avessero voluto giustificarla, avrebbero invocato ragioni superiori: assicurare la felicità del popolo tedesco, della razza ariana, o addirittura dell’umanità così purificata. Ma l’esistenza di questo scopo lontano non impedisce che l’azione concreta in cui sono impegnati i carnefici abbia un’unica finalità: quella di mettere a morte le loro vittime. Da qui la creazione di campi destinati esclusivamente all’assassinio: Treblinka, Sobibór, Belzec, Chelmno, o dei quartieri di assassinio dentro i campi di concentramento come ad Auschwitz e a Majdanek.

Le grosse masse di vittime, in URSS, sono generate da un’altra logica: qui la privazione della vita non è uno scopo; è o una punizione e un mezzo di terrore, o una perdita e un incidente insignificanti. Gli abitanti del gulag si spengono dopo tre mesi di sfinimento, di freddo o di malattia; non ce ne si preoccupa, perché sono una quantità trascurabile e verranno sostituiti da altri. I contadini possono morire di fame, poiché è la condizione di una collettivizzazione dell’agricoltura o di una sottomissione dell’Ucraina alla Russia, della campagna alla città. Non è la morte che qui assume un senso, è la vita che non ha più alcun valore. Le classi nemiche devono ben essere eliminate, ma sarà essenzialmente il lavoro della storia e della natura (la tundra ghiacciata della Siberia). I nazisti praticano lo stesso disprezzo per la vita nei campi di concentramento o sfruttando il lavoro forzato; ma nei campi di sterminio la morte diventa uno scopo in sé. Ciascuno dei due regimi mantiene, da questo punto di vista, la propria specificità, nonostante la somiglianza nei programmi. […]

Gli uni sacrificano delle vite umane come se non valessero nulla, gli altri sono colti da un’autentica frenesia del delitto.

La differenza su cui Buber-Neumann insiste di più è ancora legata all'opposizione ideologica fra i due regimi. Essa consiste nel fatto che i detenuti dei campi sono trattati dai sovietici sul modello degli schiavi, mentre dai nazisti come sotto-uomini. In Urss, la giustificazione dei campi è duplice: mantenere il terrore politico e fornire una manodopera gratuita e obbediente per il lavoro delle miniere, delle fabbriche o dei campi. Questa seconda funzione è essenziale, e il gulag si ritiene che svolga un ruolo capitale nell'economia sovietica.

Ciò che distingue questa pratica dallo schiavismo antico è semplicemente che la vasta popolazione dell'Unione Sovietica rappresenta un serbatoio inesauribile di manodopera, e di conseguenza la direzione dei campi non si prende nessuna cura dei propri schiavi: inutile nutrirli bene, vestirli il più possibile, curarli contro le malattie; se muoiono, se ne prenderanno altri. Queste due funzioni, politica ed economica, sono peraltro mascherate da un discorso destinato ai visitatori occidentali, a cui nessuno in Unione Sovietica crede, secondo cui lo scopo dei campi è di rieducare degli individui colpevoli e di trasformarli in uomini sovietici maturi.

I campi tedeschi assumono anche una funzione di terrore nei confronti del resto della popolazione, ma, inizialmente, sono lontani dall'assumere un ruolo economico paragonabile; è solo negli ultimi anni di guerra che si incomincia ad attingervi sistematicamente della manodopera. In compenso, vi si osserva una pratica dell'umiliazione e di corruzione degli individui, come se lo scopo del sistema fosse di ridurre gli uomini allo stato di bestie. “Il ruolo principale non era più svolto dal lavoro degli schiavi, ma dalla tortura e dalla degradazione sistematica”, scrive Buber-Neumann. Nello stesso senso, non si può che restare impressionati dal fatto che, nei campi nazisti ma non in quelli comunisti, gli esseri umani sono utilizzati come cavie in esperimenti medici. A Ravensbrück, per l'appunto, si può vedere un gruppo di giovani polacche le cui gambe sono coperte da cicatrici orrende: hanno inoculato loro dei bacilli per osservarne l'evoluzione. E' perché sono sotto-uomini - uomini incompleti - che ebrei, zingari, slavi, malati o vecchi devono morire, senza preoccuparsi della loro eventuale redditività economica.

T. Todorov, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Milano, Garzanti, 2001, pp. 107-109 e 129-130. Traduzione di R. Rossi.

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