La mancata deportazione degli ebrei Bulgari

Gli accordi tra Bulgaria e Germania
Auschwitz-II-Birkenau 1944. L’arrivo degli ebrei ungheresi. Dall’album Il trapianto degli ebrei di Ungheria, realizzato dai nazisti ad Auschwitz nell’estate 1944.Durante il 1942, la Bulgaria aggravò ulteriormente la situazione dei propri ebrei. In giugno, il governo ricevette una delega che gli consentiva di agire con pieni poteri, in questo campo particolare. Il 26 agosto, si precisò che era da considerare ebreo in senso razziale (a prescindere dalle religione effettivamente professata) chiunque avesse anche solo un nonno ebreo. Inoltre, gli ebrei fra i 20 e i 45 anni furono impegnati in appositi battaglioni di lavoro.

Il 15 ottobre 1942, l’ambasciata tedesca a Sofia ricevette un telegramma che invitava i rappresentanti del Reich in Bulgaria a prendere contatti col governo, in vista della imminente deportazione degli ebrei. Il 2 febbraio 1943, da Berlino, arrivò a Sofia Theodor Dannecker, un collaboratore di Eichmann, che nel giugno-luglio 1942 aveva coordinato le deportazioni dalla Francia.

L’accordo che fu stipulato tra Dannecker e Aleksandr Belev (in rappresentanza del governo bulgaro) prevedeva l’immediata deportazione di 20 000 ebrei dal territorio bulgaro: 12 000 sarebbero stati prelevati dai territori appena annessi (Tracia e Macedonia); i restanti 8000, invece, sarebbero stati catturati in Bulgaria, dopo essere stati definiti indesiderabili (perché sovversivi e pericolosi) e pertanto inseriti in un’apposita lista. Il 2 marzo 1943, il governo recepì l’accordo di Belev e Dannecker e assegnò al primo “il compito di deportare dal paese, in accordo coi tedeschi, 20 000 ebrei, che abitavano i territori recentemente liberati”.
L’intervento di Dimitar Peshev

Il 4 marzo 1943, la polizia bulgara arrestò 4058 ebrei in Tracia e 158 a Pirot (una piccola regione della Serbia orientale, anch’essa annessa alla Bulgaria). Il 20 marzo, furono caricati su alcune chiatte che risalirono il corso del Danubio, in direzione di Vienna. Il destino finale di questi ebrei è misterioso; forse furono annegati nel fiume, oppure deportati a Treblinka: comunque, non ci furono superstiti. L’11 marzo furono catturati 7381 ebrei in Macedonia; dopo che un piccolo gruppo di medici e farmacisti fu rilasciato, vennero condotte a Treblinka con tre convogli (22, 25 e 29 marzo) 7144 persone.

I nazisti non riuscirono invece a deportare gli ebrei indesiderabili, che dovevano essere prelevati all’interno dei confini prebellici della Bulgaria. Quando imparò da alcuni amici ebrei che la deportazione era imminente, il 9 marzo, il vicepresidente del Parlamento, Dimitar Peshev – che pure, fino a quel momento, aveva approvato la politica filotedesca del governo - intervenne presso il ministro degli interni e impedì la partenza dei treni.

Il 17 marzo, Peshev stese una lettera di protesta, che venne firmata da altri 42 deputati e infine consegnata al primo ministro. Il 24 maggio, a sostegno della protesta contro la deportazione degli ebrei bulgari scese pubblicamente in campo anche il metropolita di Sofia Stefan, massima autorità della Chiesa ortodossa in Bulgaria. All’inizio di giugno, l’ambasciatore tedesco prese atto della sconfitta e suggerì alle autorità di Berlino di lasciar perdere: in Bulgaria non c’erano le condizioni ambientali necessarie per la soluzione finale. I 48 000 ebrei bulgari non sarebbero mai stati deportati.

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