Le partenze da Westerbork

In una lettera del 24 agosto 1943, Etty Hillesum descrisse le scene strazianti che si ripetevano a Westerbork, ogni volta che un gruppo di ebrei si preparava per la deportazione.


I bambini di pochi mesi, le piccole grida penetranti dei bambini, che sono strappati dalle loro culle nel cuore della notte per essere trasportati verso un paese lontano – devo buttar giù ogni cosa come viene, più tardi non ne sarò capace perché crederò che non sia stato vero, già ora è come una visione che si allontana sempre più. Quei bambini erano davvero la cosa peggiore. [...] Nel lavatoio c’è una piccola donna che regge sul braccio una bacinella di bucato ancora gocciolante. Si aggrappa a me, ha l’aria un po’ spiritata. Mi riversa addosso un fiume di parole: “E’ impossibile, com’è possibile, devo partire e non riesco nemmeno a far asciugare il mio bucato per domani. E il mio bambino è malato, ha la febbre, non potrebbe far in modo che io non debba partire? E non ho nemmeno abbastanza vestiti per il bambino, mi hanno appena mandato le ghette piccole invece di quelle grandi, oh, c’è da impazzire. E ci si può portare una sola coperta, avremo un bel freddo, o pensa magari di no? Ho un cugino che è arrivato con me, ma non deve partire perché ha i documenti giusti, crede che potrebbero servire anche per me? La prego, dica che non devo partire, Lei che ne pensa, lasceranno i bambini con le mamme? Sì, torni stanotte, torni per aiutarmi, Lei che ne pensa, chissà se i documenti di mio cugino…”.

Se dico che stanotte sono stata all’inferno, che cosa ne potete capire voi? L’ho constatato una volta con un certo distacco nel cuore della notte, mi sono detta ad alta voce: “Eccomi dunque nell’inferno”. [...]

Si capisce ancora che quella giovane donna laggiù era un tempo abituata al lusso, e molto bella. E’ arrivata da poco nel campo. Si era nascosta per proteggere il suo bambino; ora è qui, tradita da una delazione come molti altri clandestini. [...] Che aspetto avrà questa donna, già ora totalmente smarrita, quando fra tre giorni sarà scaricata dal vagone merci strapieno, in cui sono stati pigiati uomini donne bambini neonati e bagagli, con un barile pieno nel mezzo come unico arredo? Probabilmente si finirà in altri campi di transito, da cui si sarà di nuovo trasbordati altrove. Siamo braccati a morte attraverso l’Europa...

Giro ancora, un po’ smarrita, per altre baracche. Passo attraverso scene che mi sorgono davanti in molti piccoli dettagli cristallini, e che sono allo stesso tempo come visioni evanescenti e antichissime. Vedo portar via un vecchio moribondo che recita lo Shemà per se stesso. [...] Vedo un padre che prima della partenza benedice sua moglie e suo figlio, e che si fa benedire a sua volta da un vecchio rabbino dalla barba bianca come la neve, e dall’ardente profilo di profeta. Vedo... ma tanto non riesco a descriverlo...

E. Hillesum, Lettere 1942-1943, Milano, Adelphi, 1990, pp. 129-132 e 136-137. Traduzione di C. Passanti

Azioni sul documento