Il crematorio II

Il dottor Miklós Nyiszli (1901-1956) era un affermato medico legale ungherese. Deportato ad Auschwitz in quanto ebreo, nel 1944, fu scelto da Mengele per effettuare dettagliate analisi sui cadaveri dei soggetti che venivano uccisi. La sala per le autopsie si trovava all’interno del Crematorio II. Nyiszli, quindi, è stato più volte testimone dell’intera procedura di uccisione degli ebrei e di distruzione dei loro corpi, da parte del Sonderkommando.

Prima della discesa, una grande tabella informa in tedesco, francese, greco e ungherese che laggiù si trovano le docce e la disinfezione. Ciò contribuisce a tranquillizzare tanto quelli che paventano le prospettive più nere, quanto coloro che non hanno grandi sospetti. E vanno giù per le scale, quasi felici.

La folla si viene a trovare in un ampio salone, bene illuminato e imbiancato, lungo una cinquantina di metri. Al centro del locale si susseguono colonne. Intorno alle colonne e vicino alle pareti vi sono delle panchine. Al di sopra delle panchine una lunga fila di attaccapanni numerati. Delle scritte in diverse lingue, fittamente distribuite, informano che i vestiti e le calzature occorre legarle e appenderle agli attaccapanni, tenendole bene a mente il numero, per evitare al ritorno inutile confusione. “Autentico senso germanico dell’ordine!”, dicono quelli che ammirano questa caratteristica dei tedeschi. E hanno ragione! Effettivamente si svolge tutto in nome dell’ordine, allo scopo di non far mischiare migliaia di paia di scarpe, attese con ansia nel Terzo Reich. E lo stesso vale per i vestiti: è molto importante che questi vengano distribuiti in buono stato alla popolazione tedesca colpita dai bombardamenti. Nel salone si trovano centinaia di persone. Uomini, donne, bambini. Entrano dei militi SS. Echeggia subito un ordine: spogliarsi! Si precisa il tempo a disposizione: dieci minuti! Anziani, bambini, mogli e mariti restano come paralizzati. Le donne e le ragazze, in preda alla vergogna, si guardano imbarazzate, senza sapere che fare. Forse non hanno ben capito le parole tedesche? Ma l’ordine viene adesso ripetuto. La voce denota impazienza e minaccia.

La gente ha dei presentimenti molto cupi. Per istinto cercano di difendersi. Ma rinunciano subito dopo. Si sono ormai abituati all’idea, che li si può costringere a qualunque cosa. Cominciano piano a svestirsi. Gli anziani, gli storpi e i malati psichici vengono aiutati dal personale del Sonderkommando. Nel volgere di dieci minuti sono già tutti denudati. Agli attaccapanni sono appesi i vestiti, mentre le scarpe legate coi lacci stanno una accanto all’altra. Ciascuno ha bene impresso in mente il numero del proprio attaccapanni…

Le SS si fanno strada tra la folla verso il grande portone di quercia, a due battenti, in fondo al salone. Appena lo aprono, la gente nuda si riversa in un’altra sala, ugualmente illuminata. Il locale è circa la metà del precedente. Non vi sono né attaccapanni né panchine. Al centro vi sono dei grandi pilastri quadrati. Non sono pilastri che reggono il soffitto, ma enormi grondaie di latta con i lati traforati, come un setaccio.

Ormai sono tutti dentro. Risuona forte un altro ordine: SS e Sonderkommando lasciare le docce! Escono fuori, verificando scrupolosamente che nessuno di loro resti dentro. Si chiude, sbattendo, il portone. Nella sala si spegne la luce. Nel frattempo si sente nel cortile il rombo di un motore. È arrivata una lussuosa ambulanza della Croce Rossa, da cui scendono un ufficiale SS e un SDG (Sanitätsdienstgehilfe), cioè un SS del servizio sanitario ausiliario. Quest’ultimo ha in mano quattro barattoli di latta colorati di verde.

Attraversano il prato, quindi passano sulla copertura del sotterraneo, da cui sporgono bassi camini di cemento. Si accostano al primo e, dopo avere indossato le maschere antigas, ne tolgono il coperchio, pesante, anch’esso di cemento. Tolgono il sigillo di fabbricazione di un barattolo e, attraverso il foro del camino, versano dentro il contenuto: grani della grandezza di fagioli, di colore verdastro. Questi cadono giù nelle grondaie di latta del locale sotterraneo, non escono fuori, ma restano nei tubi. È lo Zyclon B, che, immediatamente al contatto con l’aria, sviluppa gas. Questo si libera attraverso i fori e nel giro di pochi secondi riempie l’intero salone, gremito di persone. Nel giro di cinque minuti viene liquidato l’intero convoglio.

L’ambulanza con il simbolo della Croce Rossa si presenta all’arrivo di ciascun trasporto. Porta il gas prelevato da qualche parte, esterna al campo. Nel crematorio non si trovano mai scatole piene. Si tratta di una precauzione ingegnosa, ma non è forse una vigliaccheria ancora più ingegnosa quella che il veicolo usato per il trasporto del gas, abbia il simbolo internazionale della Croce Rossa?

I due assassini, che hanno portato il gas, attendono ancora cinque minuti, per assicurarsi di aver eseguito alla perfezione il proprio lavoro. Si accendono una sigaretta ed entrano in macchina. Hanno appena finito di ammazzare tremila persone [dettaglio inesatto: la capacità media del Crematorio II era di circa 1500 persone – n.d.r.] !

Venti minuti dopo entrano in funzione i ventilatori elettrici per disperdere il gas. Si aprono le porte. Sopraggiungono dei camion. Una squadra del Sonderkommando vi carica separatamente le scarpe e i vestiti, che portano alla disinfezione; a quella vera, in questo caso. Di là, poi, nei vagoni quel bottino viene distribuito in diversi centri della Germania.

Moderni ventilatori disperdono il gas, ma questo rimane ancora in piccole quantità negli angoli, nelle fessure, tra i cadaveri. L’immissione nei polmoni anche di una sola boccata procura una tosse soffocante, anche dopo ore. Per questo, il gruppo di detenuti del Sonderkommando che entra in quel locale con getti d’acqua, è dotato di maschere antigas. Il salone di nuovo viene potentemente illuminato. Una scena orribile si presenta davanti agli uomini del Sonderkommando.

I corpi non giacciono sparsi sul pavimento della sala, ma sono arrampicati in una catasta mostruosa, alta e intrecciata. I cristalli che diffondono il gas avvelenano inizialmente gli strati bassi dell’aria, appena sopra il pavimento, e solo in seguito s’innalza gradatamente la potenza venefica. Per questo quei miseri si calpestano a vicenda, camminando gli uni sugli altri. Chi si trova più in alto non è raggiunto subito dal gas. In quel luogo, quale lotta tremenda si svolge per la vita! Anzi, per uno o due minuti di vita! Se potessero riuscire a ragionare, capirebbero che invano stanno calpestando i propri genitori, le proprie mogli, i propri figli; ma loro non sono più in condizioni di pensare, sono solo in balia dell’istinto di conservazione. Osservo che alla base di quella catasta giacciono i lattanti, poi i bambini, quindi le donne e gli anziani e in cima gli uomini più forti.

Corpi intrecciati nella morsa della morte, con il naso e la bocca insanguinati, graffiati a sangue nella lotta. Volti tumefatti, lividi, irriconoscibili. Eppure, gli uomini del Sonderkommando spesso riconoscono tra i cadaveri persone loro care… Anch’io sono terrorizzato da una simile eventualità.

M. Nyiszli, Sono stato l’assistente del dottor Mengele. Memorie di un medico internato ad Auschwitz, Oswiecim, Frap-Books, pp. 36-39. Traduzione dal polacco di A. Fonseca

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