L'istanza della precisione terminologica

Il volume Il secolo dei campi, di Joël Kotek e Pierre Rigoulot si sforza di analizzare e comparare i diversi sistemi concentrazionari emersi nel corso del XX secolo. Giustamente, però, i due storici precisano che il termine campo di concentramento è spesso usato in modo improprio, onnicomprensivo. Sia pur faticosamente, la storiografia più recente si sforza di introdurre una precisione ed un rigore, nell’uso dei termini tecnici, che a lungo sono mancati, precludendo un’autentica comprensione della dinamica della Shoah.

Belzec, Chelmno, Sobibor e Treblinka rientrano nell’universo concentrazionario? Per descriverli o studiarli, si può ricorrere allo stesso vocabolario usato per Dachau o Mauthausen? E’ sufficiente, per distinguerli dai campi di concentramento classici ed evidenziarne la terribile singolarità, attribuire loro la semplice definizione di campi di sterminio o campi della morte?

Certamente no. Dachau e Treblinka sono infatti agli antipodi e non possono essere studiati da un unico punto di vista. Sono così irriducibili l’uno all’altro che la loro realtà non può essere colta servendosi di un repertorio semantico comune. A Dachau si isolano dal corpo sociale, per un periodo più o meno lungo, persone considerate pericolose per la collettività, ma comunque reintegrabili. A Treblinka sono gassati seduta stante uomini, donne e bambini ontologicamente irrecuperabili, un’umanità inferiore che, dal punto di vista dei nazisti, non è altro che un intralcio al buon funzionamento del mondo.

Queste diverse funzioni, da una parte isolamento in quarantena, dall’altra condanna a morte immediata, obbligano, a nostro modo di vedere, a operare una netta distinzione tra questi due luoghi-tipo. A funzioni diverse corrispondono infatti concetti e termini diversi. Non si può fare a meno di constatare che, dalla caduta del nazismo, è invalso l’uso di riunire sotto un’unica etichetta, campo di concentramento, luoghi in cui i detenuti sono sia mantenuti in vita a qualunque costo, nella speranza di poterli reintegrare nella comunità nazionale, sia uccisi lentamente, affamati e distrutti da un carico di lavoro estenuante, sia sterminati non appena scesi dai vagoni per il bestiame.

E’ stato il processo di Norimberga il principale responsabile della diffusione di questo uso improprio del concetto onnicomprensivo di campo di concentramento - visto come un insieme omogeneo e generico - che ha consacrato le atroci immagini delle carneficine di Bergen-Belsen al momento della sua liberazione come prova dello sterminio degli ebrei da parte dei tedeschi. La scoperta di Bergen-Belsen, scrive Walter Laqueur, "scatenò un'ordata di ira violenta, anche se, ironicamente, non era affatto un campo di sterminio, e neanche un campo di concentramento, ma un Krankenlager, un campo per ammalati, sebbene per ammissione generale, l’unica cura offerta ai ricoverati fosse la morte".

A causa di questa visione parziale, molto in auge tra il grande pubblico e persino tra gli storici, il genocidio diventa da un lato uno tra i tanti eventi della storia concentrazionaria, dall’altro - punto su cui insiste a ragione lo storico Maxime Steinberg - un fenomeno sfaccettato, cui viene di conseguenza sottratta la sua specificità autenticamente ebraica. E’ vero che il genocidio ha falcidiato gli ebrei, si dirà, ma ha colpito anche zingari e slavi, coinvolgendo persino omosessuali e resistenti: "La memoria di Auschwitz, eretto dai suoi guardiani a simbolo del genocidio per antonomasia, consacra questo complesso amalgama di campo di sterminio e di concentramento al tempo stesso" (M. Steinberg).

Alcuni storici, anche di chiara fama, credono di poter aggirare l’ostacolo distinguendo tra campo di sterminio e campo di concentramento. Ma dire che si sbagliano è dir poco: quando si affronta la questione della Shoah, è la nozione stessa di campo, indipendentemente dai termini utilizzati per definirlo - campo della morte, campo di sterminio - che occorre eliminare. Infatti tale nozione, legata alla storia del genocidio, alla sua preparazione e alla sua inesorabile messa in atto, è sempre fuori luogo, sempre inefficace. Inoltre, designare indifferentemente Dachau e Treblinka con un’espressione comune è un controsenso storico, dal momento che furono gli stessi nazisti a stabilire una distinzione tra i due tipi di istituzione. Definivano Dachau e i luoghi cui è servito da modello usando il termine Konzentrationslager, letteralmente campo di concentramento (KL), mentre luoghi come Treblinka, Majdanek o Chelmno erano chiamati SS Sonderkommandos, kommandos specialidella polizia e delle SS (SK). Nel secondo caso non si tratterà più di isolare e parcheggiare esseri umani più o meno maltrattati, ma di sterminarvi con metodo e sistematicità, giorno dopo giorno e seduta stante, tutti gli ebrei che vi saranno destinati. Gli SK sono solo luoghi di transito e portano, senza indugi e mezzi termini, dal ghetto al macello.

Gli SS Sonderkommandos, concepiti come veri e propri macelli, prima artigianali poi industriali, con le loro camere a gas e i forni crematori che lavorano a pieno ritmo - bisogna preparare i vivi prima della doccia e trasportare i cadaveri dopo -, i depositi in cui si ammassano i beni sottratti ai deportati (capelli, abiti, orologi, gioielli, denaro ecc.), richiederanno ben presto la presenza di veri e propri kommando di operai specializzati. Questi, scelti tra i deportati ebrei più forti (di solito uomini e donne giovani), saranno alloggiati all’interno del SonderkommandoSS : a volte poche decine, altre volte centinaia, se non addirittura un migliaio. Poco importa: "Nemmeno con i loro detenuti becchini"  scrive Steinberg "i sei Sonderkommandos SS, creati su questo modello tra il dicembre del 1941 e il luglio del 1942 sul territorio polacco così com’era prima del 1939, saranno mai campi di sterminio. Tale denominazione non appartiene infatti a quell’epoca".

A loro volta, le SS del Sonderkommando non assomigliano affatto alle guardie di un campo. In quelli che Raul Hilberg, il grande storico della Shoah, ha definito in modo assai efficace centri di morte immediata, detti anche centri di sterminio, operano infatti degli assasini.

Paradossalmente, quindi, la Shoah si svolge al di fuori del sistema concentrazionario nazista. A un massacro senza precedenti corrisponde un’organizzazione senza precedenti. Il centro di sterminio non è altro che una fabbrica di morte.

Indipendenti dal sistema concentrazionario nazista, gli SK sfuggono al suo sistema d’ispezione (IKL), eccetto Auschwitz e Majdanek, atipici, in quanto sono contemporaneamente campi di concentramento e centri di sterminio, mentre l’unica funzione di Belzec […], Chelmno, […] Sobibor e Treblinka, tutti capolinea ferroviari, è lo sterminio sistematico, immediato e su scala industriale degli ebrei d’Europa.

J. Kotek - P. Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio 1900-2000, Milano, Mondadori, 2001, pp. 309-311 Traduzione di A. Bernabbi

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