La IG Farben ad Auschwitz
Prima della guerra, la IG Farben costruì due fabbriche Buna: Buna I a Schkopau nel 1936, e Buna II a Hüls nel 1938. Il 2 novembre 1940, i rappresentanti della IG Farben incontrarono l’Unterstaatssekretär von Hanneken, del ministero dell’Economia, e decisero di intensificare la produzione di caucciù sintetico. Per questa ragione si decise la costruzione di Buna III a Ludwigshafen. Questa fabbrica si rivelò insufficiente per portare la produzione al livello richiesto, e i pianificatori, allora, studiarono due possibilità: ampliare le installazioni di Hüls per far passare la produzione da 40 000 tonnellate a 60 000, oppure costruire un’altra fabbrica, con una capacità produttiva di 25 000 tonnellate. Questa nuova fabbrica avrebbe potuto essere situata in Norvegia o ad Auschwitz.
Dall’inizio, il ministero dell’Economia optò per Auschwitz. All’epoca ci si preoccupava molto di integrare nella Germania i territori incorporati, non solamente sul piano amministrativo, ma anche su quello economico e demografico. L’11 dicembre 1940, un certo tipo di sollecitazione scaturì da un decreto che offriva esenzioni fiscali alle società che avessero costruito fabbriche nei territori incorporati. Il 6 febbraio 1941 venne presa una decisione. […] Il vicedirettore della fabbrica principale di Ludwigshafen, il dottor Otto Ambros, […] fece notare che ad Auschwitz si poteva trovare acqua, carbone e calce in quantità interessanti. Inoltre il luogo era di facile accesso. D’altro canto, quella sede mancava di manodopera qualificata e gli operai mostravano qualche resistenza ad andarci a vivere. Queste ultime difficoltà furono presto appianate. Krauch [= Carl Krauch, plenipotenziario del regime per l’industria chimica – n.d.r.] suggerì a Göring di chiedere un aiuto a Himmler; il 26 febbraio 1941, Himmler ordinò che la città di Auschwitz fosse completamente svuotata della sua popolazione civile per lasciare il posto agli operai della IG Farben. I polacchi potevano restare se la compagnia trovava del lavoro per loro. Inoltre, tutta la manodopera disponibile del campo di Auschwitz era messa a disposizione della nuova impresa. […] Al fine di garantire che la IG Asuschwitz disponesse di tutti i materiali di costruzione necessari, Krauch acconsentì a che Buna avesse la priorità assoluta (Dringlichkeitsstufe I) fino alla fine dei lavori. La IG Auschwitz non si limitò a questo: acquisì la sua base di produzione di carbone, la Fürstengrube e la Janinagrube. Le due miniere furono riempite di detenuti ebrei.
Fin dall’inizio la cooperazione tra la IG Farben e le SS fu totale. Le due organizzazioni erano complementari. Quando la IG Farben costruì le baracche, le SS fornirono il mobilio (le tavole di legno). Le SS fornirono pure le guardie alle quali la IG Farben aggiunse il suo corpo di guardia Werkschutz (polizia di fabbrica). La IG Farben richiedeva punizioni per i detenuti che contravvenivano alle regole, le SS si incaricavano di infliggerle. Le SS mettevano i detenuti al regime alimentare di Auschwitz, la IG Farben provvedeva ad aggiungere un po’ di zuppa Buna per assicurare la produzione. Le relazioni sociali erano, anche quelle, amichevoli. È così che si vedrà Höss invitare, ogni tanto, il dottor Dürrfeld e signora, o il dottor Eisfeld e signora, a casa sua, non lontano dal campo. Ma la IG Farben non si limitò a una cooperazione e a buoni rapporti sociali. La compagnia fece suoi, nella fabbrica, sia i metodi sia la mentalità delle SS.
Lontani dall'essere protetti perché lavoravano per la Buna [= la fabbrica di gomma sintetica della IG Farben - n.d.r.], i detenuti morivano per il lavoro. Persino durante la fase di costruzione, i capomastri della IG Farben adottarono il ritmo di lavoro delle SS – per esempio trasportare i carichi di cemento di corsa. […] Circa 35 000 detenuti passarono da Buna; 25 000 morirono. La speranza di vita di un detenuto alla IG Auschwitz andava dai tre ai quattro mesi, circa, ed era di un mese circa nelle miniere di carbone intorno ad Auschwitz. Come per le SS, anche la IG Farben, non ci sapeva fare a mantenere in vita i suoi detenuti.
R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, Torino, Einaudi, 1999, p. 1034-10337. Traduzione di F. Sessi e G. Guastalla