L'eterno ritorno del conflitto Memoria-Storia

La pressione delle memorie

Noi oggi assistiamo da un lato al fenomeno della frantumazione della memoria collettiva ed alla sua interazione, spesso contradditoria, con quella individuale; dall’altro ad una pressione notevole delle memorie sulla storia perché il Novecento ha prodotto una massa di memorie che tardano ad essere storicizzate, anche solo per il fatto che il lavoro della storiografia, per sua natura, richiede lentezza di rielaborazione, ricerca, documentazione, mentre i committenti delle memorie non possono, non vogliono aspettare, vogliono avere il loro riconoscimento, il loro spazio celebrativo, lo scenario pubblico in cui esprimere il rituale rievocativo:

“La memoria sembra invadere oggi lo spazio pubblico delle società occidentali. Il passato accompagna il nostro presente  e si radica nell’immaginario collettivo, fino a suscitare quella che alcuni commentatori hanno definito” un’ossessione commemorativa” amplificata con forza dai media… La sacralizazzione dei luoghi della memoria dà luogo ad una vera “topolatrìa” e la rivisitazione permanente del passato recente produce inevitabilmente un effetto di “saturazione della memoria”(E. Traverso, Storia e Memoria. Gli usi politici del passato, in Novecento, Istituto Storico di Modena, n. 10, 2004, p.9)

Questa fortissima pressione delle memorie sulla storia può determinare il pericolo di “scorciatoie”, cioè il ricorso alla traduzione immediata delle memorie in qualche ricostruzione o narrazione condivisa, senza i passaggi metodologici e la mediazione concettuale della ricerca storica. D’altra parte, la sovrabbondanza di informazione storica prodotta dai media e dalla rete informatica, la loro pervasività e invadenza, anche nella dimensione quotidiana, privata e collettiva, porta spesso ad un consumismo sfrenato e dilagante di “vulgate storiche” quasi sempre funzionali alla battaglia politica del momento o strumentali per gruppi di potere o comunità di vario tipo che veicolano, nell’uso pubblico della storia, le tensioni socio-politiche in atto o artatamente agitano “spettri e fantasmi” del passato con veri e propri effetti perversi. Un esempio particolarmente noto e controverso è quello di Giampaolo Pansa che utilizza la forma del romanzo storico, insistendo sulla violenza del secondo dopoguerra, per sfornare una grande quantità di opere che, grazie anche ad un disinvolto linguaggio giornalistico-letterario, riescono a incidere, con forte impatto emotivo, sulla memoria collettiva diffondendo un sordo e rancoroso revisionismo che, proprio perché non passato al vaglio del rigore metodologico e concettuale della ricerca  e della documentazione storica, assume il sapore acre della vendetta, più pungente per il grande successo riscosso presso il pubblico.

Le memorie come fattore di divisione

C’è di più, negli ultimi anni si è consumato un vero e proprio black-out di memoria fra le generazioni che, sommato alla perdita sempre più massiccia di conoscenza storica da parte dei giovani, e non solo,  ha determinato il fatto che la storia ha perduto i tratti di disciplina costruttrice di sentimento di cittadinanza, di senso comune e, più in generale, di identità e consapevolezza culturale, civile e politica nel senso pregnante del termine, cioè di appartenenza  alla polis.

La storia cioè ha smesso di rappresentare il terreno costitutivo ed imprescindibile per un’identità collettiva e/o di comunità; funzione prioritaria che invece aveva svolto in passato per molte generazioni precedenti, assolvendo  il compito di educazione politica perché la conoscenza storica, come auspicava Nicola Gallerano, ha un tratto distintivo proprio nella:

regolazione della memoria e dell’oblio per plasmare i tratti dell’identità collettiva di una comunità e distinguerla dalle altre”( N. Gallerano, “Storia e uso pubblico della storia” in  L’uso pubblico della Storia, F. Angeli, Milano,1995,  p22)

La grande domanda di memoria al contrario che emerge dalla storia tragica di un “lungo” Novecento, scandito da periodi di esplosione di memorie individuali e collettive, quasi sempre legate a determinate ragioni o a particolari conflitti socio-politici  in atto, non solo non produce pacificazione e tranquillità ma, paradossalmente, evidenzia che le memorie possono rivelarsi dei materiali esplosivi, usati strumentalmente per replicare la divisione e l’ostilità, per prolungare il conflitto, come acutamente

Gad Lerner ha osservato, in suo articolo, affermando che “l’ossessione della memoria ci illividisce riproponendo come attuali i torti subiti nel passato. Ci incoraggia a vivere il presente come seguito naturale di una guerra tuttora in corso. Trasfigura nuovi nemici nei nemici storici. Aiuta i litigiosi a litigare. Li rifornisce di una riserva inesauribile di munizioni polemiche”.( Gad Lerner, “ L’ossessione della memoria”, La Repubblica, 28 aprile 2007- consultato su internet.

L’uso-abuso della figura del testimone

La disseminazione poi delle memorie e l’illusione di detenere la storia allo stato puro, al posto della ricostruzione storica, va di pari passo con l’uso massiccio del testimone e della testimonianza che non solo ci condanna all’illusione di avere la storia in presa diretta; ma ci anestetizza rispetto alla ricostruzione unitaria, fondata, condivisa del quadro storico generale in cui quel testimone, quella esperienza, quel vissuto vanno inseriti se davvero li si vuole capire e farne “un uso consapevole e produttivo”.  Ma, osserva Giovanni De Luna:

“la stessa storia come disciplina ha visto il suo statuto modificarsi profondamente con l’avvento dell’Era del Testimone” e i suoi risvolti carichi di soggettività sentimentale” ( G. De Luna, La Repubblica del dolore. Memorie di un ‘Italia divisa’, Feltrinelli, MI,2011,p.18).

L’uso dilagante del testimone e delle testimonianze, insieme con la proliferazione delle celebrazioni, hanno reso il Novecento un secolo affollato, oppresso dalle memorie. Alla narrazione storica unitaria e condivisa si va sempre più sostituendo una miriade di memorie cariche di connotazioni di valore che sollecitano, per lo più, un approccio emotivo  e sentimentale. La prospettiva storica del Novecento sempre di più viene declinata come una prospettiva commemorativa al plurale, priva di qualsiasi orizzonte unitario di ricostruzione storica.

Commemorazione e storia

La disseminazione delle memorie procede così con grande velocità; mentre la ricerca storica e la storiografia giustamente procedono con maggiore lentezza, per l’impegno e la fatica ineliminabile che richiedono il rigore della storicizzazione e della rielaborazione interpretativa di fatti, eventi, processi. Lentezza che sempre più spesso non soddisfa il forte e diffuso bisogno di uso pubblico della memoria e della storia.

Non solo, a volte non placa neppure l’esigenza di un risarcimento psicologico, affettivo e morale che il ricordare spesso porta con sé e che appunto prende, sempre più spesso, la via della inchiesta giornalistica, la via giudiziaria, la via della commemorazione- una pratica collettiva, infatti commemorare vuol dire “ricordare insieme”- vie che aggiungono elementi di giudizio e di valore e che accentuano un uso sistematico di  eventi memoriali per soddisfare l’esigenza-personale o collettiva- di condividere, in maniera pubblica, una  memoria “istituzionalizzata”  ed attribuirle significato e rilevanza, a scapito della storia e della conseguente elaborazione metodologica ed interpretativa che una ricerca storica e memoriale, sedimentate nella scrittura storiografica, richiedono. Tutte le vie ricordate possono concorrere in verità alla definizione di una “verità storica”, ma dovrebbero sottoporsi al vaglio del metodo storico applicato con rigore e coerenza. Sul rapporto fra Giudice e storico ha scritto pagine illuminanti Carlo Ginzburg (cfr. C. Ginzburg, Il  filo e le tracce. Vero, falso, finto, Feltrinelli, Mi, 2006). Ed anche se il metodo del giudice e quello dello storico possono avere molti punti in comune, resta comunque vero ciò che osserva Paul Ricoeur a questo proposito, cioè che il giudice deve giungere ad un verdetto in un lasso di tempo ragionevole; mentre lo storico deve ricostruire il quadro generale nel modo più attendibile possibile, ma questo può richiedere tempi lunghi e un lavoro di ricerca-ricostruzione estremamente laborioso e  faticoso.( cfr. P Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato.tr.it. Il Mulino, BO, 2004).

Ad esempio, la commemorazione è tale appunto perché adotta un rituale e si consuma nella ripetizione, avendo già deciso ed assegnato il valore del suo oggetto. Diffidente verso eventuali novità che possano smuovere l’assetto valoriale consolidato che, a sua volta, costituisce il cemento valoriale di quella comunità che la pone in atto, risulta evidente che la commemorazione funziona come laboratorio elementare dove si riproduce la prospettiva temporale di un  passato che è, in realtà, un costrutto condiviso da un gruppo di persone che tuttavia intendono così dare un senso al loro presente ed esprimere una progettualità verso il futuro.

Anche un profano si accorge degli effetti perversi della memoria e della commemorazione, quando “non corrette ed integrate”  con la conoscenza storica. Usando le parole di Todorov, ne evidenziamo due prioritari : sacralizzazione e  banalizzazione. L’una il contrario dell’altra e tuttavia speculari e complementari, perché se la prima assolutizza il ricordo isolato (mentre la storia relativizza sempre); la seconda lo svilisce usandolo in modo superficiale ed improprio come lente di ingrandimento per interpretare ogni fenomeno del presente.

La prima impedisce ogni confronto; la seconda effettua comparazioni frettolose e inappropriate (cfr. T. Todorov, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, trad.it. Garzanti-Mi-2001).

Se a questi effetti, così ben individuati da Todorov, si aggiungono quelli che ricordava Gad Lerner,  ci accorgiamo quanto gli effetti perversi della memoria rischino di annullare tutto quanto di positivo si intende produrre con l’uso della memoria.

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