L’ossessione della Memoria, la “vittimologia”(esaltazione delle vittime)

Questo dilagare della memoria, o meglio delle memorie, in tutti gli spazi pubblici e privati e la conseguenza, da parte di un’intera classe politica, di privilegiarla in maniera quasi unilaterale rispetto alla storia dovrebbe portare, come risultato, al  consolidamento di una religione civile, una sorta di narrazione di fondazione di “come siamo diventati quello che siamo”, un nuovo patto fondativo della memoria pubblica. Invece, come acutamente osserva De Luna, ne La Repubblica del dolore, ciò non accade: “Vent’anni fa la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di rifondazione… Vent’anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento. A tenere insieme il patto fondativo della nostra memoria sono oggi infatti solo il dolore e il lutto che scaturiscono dal ricordo delle “vittime”…Il dolore di ognuna di esse, per potersi vedere riconosciuto, deve sopravanzare quello delle altre”. ( G. De Luna, op. cit)

D’altra parte anche l’eccesso di memoria, di rievocazioni, di celebrazioni e di giornate istituzionali, con l’imperativo di ricordare, alimentano questa diffusa tendenza all’oblio della nostra epoca, questo feedback negativo di sazietà:

“ Il dilagare delle testimonianze e delle commemorazioni ha reso più concreto il rischio di generare nei giovani saturazione o, peggio, rifiuto”. ( E. Traverso, op. cit.)

Occorre dunque depotenziare l’uso consumistico e spettacolarizzante del testimone. Occorre ridimensionare l’uso ossessivo  e pubblicitario di commemorazioni, di riti, di cerimonie, di dibattiti mass-mediatici. Occorre andare controcorrente in questa continua confusione fra storia e memoria.

Nell’era del testimone, in questa esplosione di testimonianze, di film, di documentari, riscoprire il silenzio, l’indicibile, il pudore con cui i testimoni cercano di proteggere la verità delle loro sofferenze. Riscoprire il valore e il senso della scrittura, delle pause, del non-detto che vela la dimensione dello scempio e dello strazio. Occorre chiedersi se l’aspetto televisivo, prioritario nell’uso pubblico della storia e della memoria, non sia “la cartina di tornasole” della debolezza della nostra storia e della nostra memoria. La metafora della nostra incapacità di andare in controtendenza: insegnare la storia in maniera efficace, produrre una ricostruzione generale unitaria, consapevole e condivisa, una narrazione pubblica che oltrepassi le memorie irrelate, spesso in conflitto fra loro. E di assumere invece la capacità di divulgare più storie e meno memorie, specie quelle contraddittorie, frammentate, che non si lasciamo contenere nei quadri di un metodo storico obiettivo. Di correggere e integrare, con una robusta e corretta divulgazione storica, il proliferare, sul nostro territorio, di segni e gesti memoriali, di luoghi  di memoria,  di targhe commemorative, cimeli, monumenti al ricordo, pietre di inciampo, iniziative e cerimonie pubbliche e private di celebrazioni, come Pierre Nora sottolinea : “essi riempiono  ingombrano il nostro orizzonte temporale, il nostro orizzonte spaziale e geografico ma… La memoria divide. La storia riunisce”. ( C. Tambareu, Pierre Nora. La Memoire divise, l’Histoire rèunit, in World Wide Web,24/05/2007)

Questo sforzo interpretativo di andare oltre le memorie individuali efamiliari, ri-costruendo quadri storici più ampi per contenere queste memorie è il pregio fondamentale di  una recente pubblicazione sugli anniSettanta, Figli delle Vittime, curata daMaurizia Morini (Figli delle vittime. Gli anni Settanta, le storie di famiglia. Aliberti editore, Reggio Emilia, 2012) in cui, oltre alle testimonianze dei figli delle vittime dello stragismo, del terrorismo, della violenza di mafia di quegli anni, sono presentati diversi contributi di storici che appunto delineano un quadro più generale in cui inserire queste memorie individuali e familiari e che veicolano “l’emozione” verso la complessità di processi storici di lungo o medio periodo della nostra storia repubblicana.

Ne assumo uno, come esempio illuminante, perché rilegge un periodo che appartiene anche alla nostra memoria individuale e mostra bene come la sguardo dello storico sia una necessaria integrazione della memoria individuale e collettiva. A proposito dell’indubbio legame fra gli Anni Settanta e larivoluzione del 1968, Antonio Canovi afferma che “Son quelli gli anni nei quali i figli del baby-boom, numerosi e nutriti di sogni di emancipazione dei padri e non meno delle madri, premono per un ingresso “adulto” sulla pubblica scena…Ma se la politica entrava nella vita quotidiana come rivelazione di altre vite a portata di mano ( “ un altro mondo è possibile”), la sua ombra si caricava di violenza.

Violenza istituzionale: nell’Italia unitaria, senza soluzione di continuità fra i diversi regimi politici e ancora nel dopoguerra repubblicano, la gestione dell’ordine pubblico aveva sempre generato morti, tuttavia la vista di altri braccianti e lavoratori uccisi nel Mezzogiorno più povero apparve agli occhi di tanti come una circostanza del tutto inaccettabile. ( Avola,2 dicembre 1968, Battipaglia, 9 aprile 1969)

Violenza inflitta e patita, tra giovani politicamente antagonisti: di cui è simbolo l’assassinio (26 aprile 1966) perpetrato dentro l’Ateneo romano, per opera di gruppi neofascisti, dello studente di orientamento socialista Paolo Rossi.

Violenza stragista, violenza terroristica: è quella che ha dilavato i colori degli anni Settanta imprimendogli il marchio del “piombo”, tra l’altro finendo per riunire nello stesso sacco eversori  “neri” e sovversivi “rossi”. Qui, nella riduzione degli anni Settanta a un’epoca monocolore, riposa il primo “depistaggio”…operato a scapito della comprensione di quel decennio… Altrettanto vero che dobbiamo confrontarci con un dato di fatto ineludibile: nel periodo canonico preso in considerazione da chi studia il fenomeno-tra il 1969 (strage di Piazza Fontana) e il 1988 (omicidio di Roberto Ruffilli) il numero delle vittime procurate per violenza politica non ha pari fra i paesi retti da governi democratici. Però il crimine  sfondo politico non ha cessato: in concomitanza con la crisi della prima Repubblica sono arrivate nuove stragi, questa volta con il coinvolgimento accertato di Cosa Nostra e la costante di un ruolo “torbido” degli apparati di sicurezza istituzionali (Falcone e Borsellino, con le rispettive scorte, nel 1992, via dei Georgofili e via Palestro tra maggio e luglio 1993).

Un’eredità troppo lunga per essere imputata in toto agli anni Settanta, tuttavia, lo spettro degli “anni di piombo”si aggira negli incubi di casa, generando una difficoltà ulteriore nell’elaborazione collettiva di quell’esperienza”.(Antonio Canovi, Le parole delle vittime. Le ragioni storiche degli anni Settanta op.cit. pagg.145-146 - il grassetto è dell’ autrice)

Ma c’è un rischio ancora più grave in atto perché si tratta di un fenomeno  che si sta diffondendo su larga scala, europea e mondiale, e dunque è ancora più pericoloso; un fenomeno rilevato da George Bensoussan che, in un suo recentissimo intervento pubblico qui a Bologna, ha parlato espressamente di “… concorrenza fra le vittimeche alimenta una gelosia delle memorie del dolore per cui ciascuno vuole essere vittima di un dolore insopportabile e questa gelosia delle memorie è collegata alla società dello spettacolo. E la politica dedica attenzione allo spettacolo, alla pietà alla compassione. Dunque bisogna reagire a questa spettacolarizzazione della Shoah a questa messa in scena della sofferenza perché, paradossalmente, produce  invidia verso la sofferenza degli ebrei e ognuno vuole una parte di Shoah”.( “La memoria della Shoah e le politiche della memoria in Europa” - Bologna - 7 aprile 2014- lezione magistrale al Convegno di Studi promosso da Assemblea Legislativa E.R. e Memorial de la Shoah di Parigi -  traduzione e rielaborazione del parlato a cura dell’autrice)

Un rischio dunque, fortissimo, è quello di una mercificazione delle memorie, all’interno della quale si colloca anche questo nuovo antisemitismo determinato ed alimentato dalla gelosia per la Shoah. “ Una volta l’ebreo era l’accaparratore del denaro e  delle risorse. Oggi l’ebreo è l’accaparratore delle lacrime e del dolore. E’ colui che ha qualcosa che io non ho, ha la Shoah.” ( G. Bensoussan, citaz.)

Quindi, soprattutto in Europa, è in atto un rigurgito violento e  potente di antisemitismo di ritorno attraverso Auschwitz.

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