Garavini e Marighelli: no a detenute con bambini in carcere, attivare le case-famiglia

16.09.2021

Garavini e Marighelli: no a detenute con bambini in carcere, attivare le case-famiglia

“Da tempo monitoriamo i dati sulle presenze in carcere di mamme con al seguito i propri bambini e di donne in gravidanza. Parliamo di presenze spesso limitate nel tempo, questo perché la normativa ha previsto la detenzione domiciliare speciale per alcune categorie di persone, come appunto le donne madri. Dobbiamo però rilevare che non tutte le donne che arrivano in carcere con i loro figli possono utilizzare questa opzione. Constatiamo, infatti, che ogni anno sono diverse le presenze di donne con figli, o in gravidanza, che fanno ingresso negli istituti penitenziari. La strada da seguire per questo tipo di situazioni è quella delle case-famiglia protette, istituite con la legge nazionale 62 del 2011, che garantirebbe a questi bambini condizioni di vita adeguate e uguali a quelle dei bambini “liberi”. Sono però strutture che in Emilia-Romagna non sono ancora state attivate, anche se per il triennio 2021-2023 sono già stati stanziati, a livello nazionale, 1,5 milioni di euro. Ritengo invece l’opzione della sezione nido all’interno delle strutture carcerarie inadeguata alla soluzione del problema perché, anche se in uno spazio attrezzato, è comunque dietro alle sbarre. Già dal luglio 2020, assieme alla Garante per l’infanzia e l’adolescenza di questa regione, stiamo lavorando per arrivare alla soluzione, ottimale, delle case-famiglia, progetto che chiediamo sia realizzato entro l’anno”. Marcello Marighelli, Garante regionale delle persone private della libertà, è intervenuto nella commissione consiliare parità e pari opportunità in Comune a Bologna.

Ribadisce, nello stesso consesso, la Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, Clede Maria Garavini: “Le risposte stentano ad arrivare nonostante ognuno di noi non riesca a comprendere come alcuni bambini possano vivere all’interno di un’organizzazione adibita a ben altro. Come può un carcere accogliere e rispondere alle esigenze dei bambini relative alla crescita e all’educazione e che sostegno può ricevere una madre rispetto alla sua genitorialità, alla realizzazione di una relazione che permetta al bambino di essere il più sereno possibile? Abbiamo tantissimi studi sulla relazione tra madre e figlio e sull’incidenza dei contesti chiusi e totalizzanti nella crescita dei bambini, ricerche che hanno evidenziato le disarmonie e le distorsioni che queste organizzazioni hanno prodotto, le interferenze nelle capacità di apprendimento e sviluppo cognitivo degli stessi bambini. Le emozioni che la madre prova in carcere sono, inevitabilmente, poi quelle che trasmette al figlio. La casa-famiglia protetta permetterebbe alla madre di vivere relazioni riparative ed esperienze emozionali correttive rispetto alle sue esperienze e ai suoi vissuti. Uno spazio che deve essere adeguatamente attrezzato rispetto agli aiuti da dare, con una progettazione che deve riguardare sia la mamma che il bambino”. 

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