Incontro con Marighelli, Garavini, Amico e Schlein: “Stop ai ‘bambini detenuti’, la risposta è la casa famiglia protetta”

14.01.2021

Incontro con Marighelli, Garavini, Amico e Schlein: “Stop ai ‘bambini detenuti’, la risposta è la casa famiglia protetta”

Sono dieci le madri che nel 2020 hanno scontato periodi di detenzione in strutture carcerarie della regione con al seguito i propri bambini. Quello dei “bambini detenuti”, costretti a “vivere” assieme alla mamma periodi più o meno lunghi della loro vita “dietro le sbarre”, è un problema ancora irrisolto. La soluzione è quella della casa famiglia protetta, esterna al carcere.

Ne hanno discusso in un seminario on line rappresentanti delle istituzioni ed esperti sull’argomento.

“La crescita di un bambino e la maternità sono incompatibili con il carcere. Il bambino va sempre protetto (cosa che non accade in carcere). Il bambino che vive nel carcere deve fare i conti con un quotidiano che presenta evidenti limitazioni: ci sono regole precise da rispettare, manca la libertà di movimento, è assente la socialità con i coetanei, il bambino non può sperimentare, non può investire nel suo futuro. La madre a sua volta, riferimento del bambino, appare in tutti i suoi limiti, la sua autorevolezza viene ridimensionata”, è la garante regionale dell’infanzia e dell’adolescenzaClede Maria Garavini, a intervenire sul tema. Garavini sollecita quindi soluzioni diverse: “i diritti dei bambini corrispondono alle loro esigenze, è quindi un loro diritto essere accolti in strutture idonee, in spazi in cui al bambino sia garantita una crescita giusta, un’adeguata educazione, mentre alla madre deve essere data la possibilità di esercitare la genitorialità, favorendo anche il suo reinserimento sociale”.

“Nel 2019 sono entrati insieme alle loro madri nelle carceri della nostra regione 15 bambini, 10 fino ad ora nel 2020”, rimarca il garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personaleMarcello Marighelli. “Diventa fondamentale ricercare soluzioni alternative, è un obbligo etico, e diventa quindi centrale l’apporto della casa famiglia protetta, per fornire un contributo al benessere delle bambine e dei bambini e cancellare questa distorsione del sistema”. La casa famiglia protetta, aggiunge Marighelli, “oltre che luogo di vita per le detenute e i loro figli può essere anche uno spazio che offre supporto alla genitorialità e che favorisce il reinserimento sociale”.

Sulla stessa linea la presidente dell’Assemblea legislativa regionale, Emma Petitti: “Le strutture per accogliere madri in misura alternativa al carcere rappresentano non solo una soluzione abitativa ma anche l’inizio di un percorso per raggiungere un’autonomia economica: la ricerca di un impiego, il reinserimento in società guardando al futuro con maggior fiducia. In queste strutture i bambini possono trovare la percezione di una vita che si avvicina molto a quella di una famiglia normale. E per le madri, che alla sofferenza della pena devono aggiungere quella di una maternità ‘mutilata’, credo che la dimensione della casa famiglia permetta di affrontare la situazione con maggiore serenità”.

Per il presidente della commissione regionale per la parità e per i diritti delle personeFederico Amico, il problema va da subito affrontato. Nei giorni scorsi il consigliere ha infatti presentato un atto rivolto al governo regionale con l’obiettivo “di avviare un confronto con tutti gli istituti coinvolti per attivare programmi che consentano di evitare da subito la reclusione delle donne con bambini al seguito e rendere realmente praticabili le misure alternative”. Amico garantisce quindi il suo impegno per arrivare a una soluzione e favorire la diffusione sul territorio di strutture idonee a questo scopo. La normativa nazionale stabilisce che il ministero possa stipulare intese con gli enti locali per individuare le strutture idonee a essere utilizzate come case famiglia protette.

“Condividiamo pienamente il principio che i bambini non devono stare in alcun modo in carcere”, interviene poi la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna (anche assessora al Contrasto delle diseguaglianze), Elly Schlein, ribadendo che “la Regione tiene monitorata la situazione: continua il confronto con tutte le istituzioni competenti, compresi i garanti, per valutare soluzioni praticabili”. L’assessora spiega poi che “la legislazione nazionale va già in questa direzione, dobbiamo quindi ridurre quel margine di eccezionalità evitando l’ingresso in carcere della mamma con al seguito minori”.

Il provveditore dell’amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna e delle MarcheGloria Manzelli rileva quanto in Italia il problema sia ancora marcato: “Un bambino che entra in un istituto penitenziario avrà traumi per sempre, in molte regioni non esistono ancora soluzioni alternative”.

Anche il garante piemontese delle persone detenuteBruno Mellano, sollecita azioni sul problema, rilevando che “lo scorso dicembre è stato approvato dal Parlamento un emendamento di modifica alla legge di bilancio che prevede la creazione di un fondo per l’accoglienza di genitori detenuti con i propri figli al di fuori delle strutture carcerarie”.

Excursus di tipo giuridico dalla docente di diritto processuale penale dell’Università di TorinoGiulia Mantovani, che ribadisce la necessità di favorire la diffusione sui territori di questo tipo di strutture, per questo “diventa fondamentale applicare le regole internazionali sulla materia”.

Per il segretario generale della cassa delle ammende (ministero della Giustizia)Sonia Specchia, “è importante individuare percorsi di reinserimento sociale per le detenute madri e i loro figli, già finanziamo progetti che vanno in questa direzione”. Quindi, aggiunge, “è necessario supportare queste donne nella loro genitorialità e quindi tutelare i minori, investire sulle persone, partendo dal reinserimento sociale”.

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