Carcere. Lavoro, comunità, accoglienza: l’alternativa esiste
12.09.2024
Antonio è entrato e uscito più volte dal carcere: un cortocircuito interrotto grazie all’accoglienza in comunità. Ghazi, arrivato in Italia con i viaggi della speranza attraverso il Mar Mediterraneo, ha conosciuto quattro volte il carcere, tra quello minorile e quello per adulti. Ora sta risalendo la china, cercando un riscatto e costruendosi un futuro.
La rinascita dopo il carcere è possibile, soprattutto se la pena, invece che nelle strutture tradizionali, viene scontata nelle “comunità accoglienze carcerati (Cec)” gestite dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, con tassi di ricaduta nel reato pari al 12% a fronte del 70% di chi vive la detenzione tradizionale. Le Cec sono comunità gestite da educatori e volontari dove i detenuti scontano la pena lavorando, studiando, ricostruendo la capacità di avere relazioni sociali.
La conferma dell’efficacia di queste strutture trova conferma dalle testimonianze ascoltate nel corso de “L’uomo non è il suo errore. Percorsi di rinascita“, convegno organizzato nella sede dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna a corredo della mostra “Dall’amore nessuno fugge” allestita in viale Aldo Moro.
A fare gli onori di casa Emma Petitti, presidente dell’Assemblea legislativa, che sottolinea soprattutto l’importanza di garantire il diritto al lavoro dei detenuti come momento di reinserimento sociale: “Il lavoro, anche in carcere, è un diritto e un segno di civiltà: occorre favorire percorsi, anche attraverso la presa di coscienza degli errori fatti, che consentano a questi uomini e queste donne di riprendersi in mano la propria vita. Un trattamento pedagogico-risocializzante con obiettivi chiari. Per ripartire, per ricostruire”, spiega Petitti, ricordando come “l’Emilia-Romagna è tra le regioni più attive in questa direzione e oggi l’azione educativa in carcere serve a promuovere un cambiamento, non coercitivo, non correttivo, ma di opportunità. A queste azioni, all’interno delle strutture, ne devono poi seguire altre all’esterno, per garantire a queste cittadine e questi cittadini la possibilità di ripartire attraverso la rimozione degli ostacoli che possono essere la causa di possibili recidive”.
“Siamo contrari alla cultura dello scarto: vogliamo potenziare il modello della casa-comunità perche abbiamo visto che funziona. Fra i nostri obiettivi c’è quello di ricostruire relazioni sociali per i nostri ospiti perché noi vediamo la persona come soggetto da recuperare e non per il danno che hanno fatto”, ricorda Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII.
“il problema del carcere italiano è il sovraffollamento a cui si aggiunge il dramma dei suicidio fra i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria. La soluzione non può essere quella di costruire nuove carceri. Bisogna, invece, assumere nuovi agenti della polizia penitenziaria, applicare le norme alternative alla detenzione e aiutare chi esce dal carcere ad avere reti di coesione sociale che gli impediscano di tornare a commettere reati”, spiega Debora Serracchiani, deputata del Pd e componente della commissione Giustizia della Camera, mentre Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia, fa il punto sull’azione svolta in questi due anni dal governo: “Il 2022 è stato l’anno che ha fatto registrare il maggior numero di suicidi in carcere. Per questo il governo si è messo d’impegno e ha trovato soluzioni: abbiamo sbloccato 300 milioni di euro per interventi sulle carcere e nominato un commissario straordinario per l’edilizia carceraria. In carcere ci sono problemi e per risolverli bisogna evitare di farsi guidare dalle ideologie ma, al contrario, concentrarsi sulle soluzioni”.
Giulia Segatta, magistrato di sorveglianza a Trento, ricorda come “la sicurezza sociale non è dettata dalla certezza della pena, ma dalla certezza del recupero delle persone. Per questo si deve riflettere su come e dove avviene la pena. Nel 1948, con l’approvazione della Costituzione, ci si è posti per la prima volta il tema del recupero dei condannati e questo dettato è quanto mai valido”.
A raccontare l’esperienza dell’Emilia-Romagna è Roberto Cavalieri, garante regionale dei detenuti: “Spesso il tema carcere è ritenuto ‘materia di Stato’, invece i territori hanno un ruolo fondamentale, come sta avvenendo in questa Regione, nella costruzione della speranza per i detenuti e gli enti locali sono attori strategici. Il tema proposto dalla mostra offre spunti di riflessione per avviare una ‘rivoluzione necessaria’”. Sulla stessa linea Federico Amico, presidente della commissione Parità e diritti dell’Assemblea legislativa, per il quale “in questi anni la Regione ha fatto molte cose per affrontare il tema carceri e, anche grazie a fondi statali, ha triplicato le risorse per sostenere progetti alternativi alla detenzione in carcere. Ora bisogna che tutte le istituzioni lavorino insieme a partire dal fatto che tutti i Comuni si dotino della figura del Garante dei detenuti”.
A tirare le somme del convegno è Giorgio Pieri, coordinatore delle Comunità educanti con i carcerati (Cec), per il quale “viviamo in una società segnata da un forte individualismo e le nostre comunità sono luoghi di espiazione della pena alternativi al carcere che offrono percorsi educativi personalizzati da svolgere in un circuito comunitario protetto, garantendo sicurezza ai cittadini, rispetto alle vittime, riscatto al reo. L’auspicio è che, anche grazie a questo convegno, queste comunità possano essere maggiormente conosciute e avere riconoscimento istituzionale e amministrativo, dato che oggi lo Stato non le finanzia”.
(Luca Molinari)