La prigione di Theresienstadt

Da fortezza a prigione
Terezín, 2006. La piccola fortezza.Durante la prima guerra mondiale, perduta da tempo qualsiasi utilità militare, la Piccola fortezza di Terezìn svolse un’importante funzione di carcere per prigionieri speciali. Qui fu rinchiuso, ad esempio, Gavrilo Princip, il principale responsabile dell’attentato di Sarajevo, che il 28 giugno 1914 provocò la morte di Francesco Ferdinando d’Asburgo, e poi diede il via alla prima guerra mondiale. Princip morì di tubercolosi, a 22 anni, nell’infermeria di Theresienstadt, il 28 aprile 1918. Il medico che l’aveva in cura, il chirurgo militare dott. Jan Levit, era un ebreo battezzato. Nel 1942, venne comunque considerato razzialmente ebreo dai nazisti e internato proprio a Terezìn; deportato nel 1944, morì ad Auschwitz.

Nei pressi del complesso fortificato, furono allestiti grandi campi di prigionia per soldati russi, serbi e italiani, catturati dagli austriaci durante la Grande Guerra. I russi erano almeno 5000, gli italiani circa 500; poiché molti dei prigionieri dell’esercito zarista provenivano dalle regioni dell’Asia centrale, e quindi erano musulmani, per loro gli austriaci costruirono una piccola moschea.

Fu internato a Theresienstadt anche un gruppo particolare di 560 prigionieri, provenienti dall’esercito austro-ungarico; si trattava di soldati cechi del 7° Reggimento fucilieri, che il 21 maggio 1918 si ammutinarono a Rumburg (o Rumburk, in Boemia), si rifiutarono di andare al fronte e minacciarono di marciare su Praga. Il governatore della regione si rese conto della gravità della situazione e scrisse a Vienna un rapporto molto allarmato: <<Se i ribelli fossero riusciti ad avanzare verso sud, e avessero trovato sostegno – cosa nient’affatto impossibile – tra i civili di quelle regioni, ci saremmo trovati a fronteggiare una vera e propria rivoluzione in molte parti della Boemia>>. Per i cechi, l’ammutinamento di Rumburk (che fu represso con 10 condanne a morte e la reclusione degli altri ribelli) è l’inizio del fermento che portò poi, in novembre, al collasso dell’impero asburgico, e infine alla nascita della Cecoslovacchia indipendente.

I prigionieri di guerra

Il fenomeno dei prigionieri di guerra è praticamente nullo nell’Ottocento, in quanto le principali campagne militari furono fulminee, caratterizzate da una o da poche grandi battaglie risolutive, che ponevano rapida fine al conflitto. L’unica eccezione importante fu la guerra civile americana, che anche sotto questo profilo può essere considerata una sorta di prova generale della prima guerra mondiale. Il conflitto 1914-1915 registrò ben 8,5 milioni di prigionieri di guerra (4,5 catturati da Germania e Austria-Ungheria, 4 dagli Alleati). In un primo tempo, i soldati catturati erano in prevalenza russi (1 750 000, alla fine del 1916); tra il 1915 e il 1918, però, furono fatti prigionieri anche 600 000 italiani (la maggior parte, dopo la disfatta di Caporetto).

La vita di tutti questi uomini nei campi di prigionia fu estremamente dura, cosicché moltissimi di loro (almeno 100 000, solo tra gli italiani) morirono di stenti o di malattia. La differenza rispetto alla seconda guerra mondiale, tuttavia, è importante e significativa: spesso, nei lager degli anni 1939-1945, le sofferenze (e le morti) erano inflitte ai deportati in modo colpevolmente intenzionale. Durante il conflitto precedente, invece, la maggior parte dei decessi e dei problemi (alimentari o sanitari) furono provocati dal fatto che, nel 1914, tutte le potenze avevano ipotizzato una guerra brevissima: nessuna, quindi, era attrezzata per un lungo soggiorno di milioni di prigionieri nemici sul proprio territorio.

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