Le responsabilità della Wehrmacht

Nei primi giorni di agosto del 1941, circa sei settimane dopo l’attacco tedesco contro l’URSS, l’eccidio degli ebrei in territorio sovietico si allargò dall’uccisione di uomini allo sterminio di intere comunità. Nella cittadina di Bjelaja Zerkov (l’odierna Bialacerkiev), a sud di Kiev, occupata dalla 295a Divisione di fanteria del Gruppo Sud, il comandante di zona della Wehrmacht, il colonnello Riedl, dispose la registrazione di tutti gli abitanti di origine ebraica e incaricò il Sonderkommando 4° delle SS, una sottounità dell’Einsatzgruppe C, di ucciderli.

L’8 agosto, una sezione del Sonderkommando, guidata dall’Obersturmführer August Haefner, giunse in città. Tra l’8 e il 9 agosto, una compagnia delle Waffen-SS (battaglione incarichi speciali) aggregata al Kommando fucilò tutti gli ebrei locali, stimati intorno a 800-900 persone, tranne un gruppo di bambini di età inferiore ai 5 anni. [...] Il 22 agosto[anche] i bambini furono giustiziati. [...]

L’uccisione di adulti e bambini ebrei avveniva pubblicamente. Durante una testimonianza resa in tribunale alla fine della guerra, un ufficiale cadetto che era stato stazionato a Bjelaja Zerkov all’epoca degli eventi, dopo aver descritto in macabri dettagli l’esecuzione di un gruppo comprendente circa 150-160 ebrei adulti, formulò i seguenti commenti:

<<I soldati sapevano di queste esecuzioni e ricordo uno dei miei uomini dire che aveva ricevuto il permesso di prendervi parte. [...] Tutti i soldati che erano a Bjelaja Zerkov erano al corrente di quanto stava accadendo. Ogni sera, per tutto il tempo in cui rimasi là, si udivano gli spari dei fucili, malgrado il nemico non fosse nelle vicinanze>>.

Eventi analoghi avevano luogo lungo tutto il fronte orientale. Ai soldati regolari della Wehrmacht veniva spesso impartito l’ordine di assistere gli Einsatzkommando nello svolgimento dei loro compiti oppure erano i soldati stessi che si offrivano volontariamente. La volonterosa partecipazione delle truppe regolari alla campagna di sterminio, per esempio, durante l’avanzata della Sesta Armata nelle aree polacche un tempo sotto l’occupazione sovietica – in particolare a Leopoli e a Tarnopol – e successivamente in territorio sovietico, trova ampie conferme. In alcune aree, i comandanti delle divisioni si assunsero l’incarico, senza alcuna sollecitazione, di rimpiazzare i Sonderkommando o i battaglioni di polizia quando queste unità non erano immediatamente disponibili. Così nel Commissariato Generale della Bielorussia, il comandante della Divisione di fanteria 707 decise nei primi giorni di ottobre del 1941 di agire di propria iniziativa. La divisione uccise in maniera rapida ed efficace e i suoi uomini fucilarono 19 000 ebrei, in prevalenza nei villaggi e nelle piccole città. Nelle città di maggiori dimensioni, il compito fu suddiviso tra il Battaglione di polizia di riserva II, con l’ausilio delle milizie lituane, e le unità del SD di Minsk.

I comandanti militari non si preoccuparono di spiegare le uccisioni di donne e bambini alle loro truppe. E neppure il feldmaresciallo von Reichenau a giudicare dal suo famigerato ordine del giorno del 10 ottobre 1941: <<I soldati devono manifestare piena comprensione  per la necessità della dura ma giusta espiazione della subumanità ebraica>>. Hitler elogiò l’ordine del giorno e ne sollecitò la diffusione a tutte le unità impegnate in prima linea nell’Est. Nell’arco di poche settimane, il proclama di Reichenau fu imitato dal comandante dell’Undicesima Armata, von Manstein, e dal comandantedella Settima Armata, Hoth.

Il numero di ebrei caduti vittime della partecipazione della Wehrmacht agli eccidi è difficile da quantificare e una stima del numero di soldati e ufficiali coinvolti nei massacri risulta impossibile. [...] Ma cancellare una precisa rappresentazione dell’orrore [= tralasciare per intero il ruolo dei soldati e dei civili tedeschi, attribuendo tutte le colpe ai burocrati e alle SS – n.d.r.] potrebbe generare una deformazione del quadro complessivo e anche una visione distorta della storia di una società che fu macchiata dalla dimensione criminale del nazionalsocialismo più di quanto sia stato a lungo supposto.

La sequenza finale degli eventi di Bjelaja Zerkov fu descritta da Häfner al suo processo: <<Andai nel bosco, da solo. La Wehrmacht aveva già scavato una fossa. I bambini furono portati là con un camion del plotone. Gli ucraini stavano intorno e tremavano. I bambini furono tirati giù dal mezzo, collocati al di sopra della fossa e fucilati, in modo che vi cadevano dentro. Gli ucraini non miravano a una parte particolare del corpo, ma sparavano a caso. [...] Le grida erano indescrivibili. [...] In particolare mi è rimasta impressa nella memoria una bimbetta bionda che mi prese la mano. Poi hanno fucilato anche lei [...]>>.

Häfner, ricordiamolo, comandava il plotone di esecuzione.

In quest’ultima rapida scena, in questa totale assenza di una qualsiasi traccia di umanità, è possibile, al di là di ogni teoria, cogliere intuitivamente attraverso un simbolo minuto e una terrificante realtà il male caratteristico del nazionalsocialismo e il nucleo profondo degli eventi che chiamiamo Olocausto, lo sterminio degli ebrei d’Europa.

(S. Friedländer, “Massacri e società tedesca nel Terzo Reich: interpretazioni e dilemmi”, in M.Cattaruzza-M.Flores-S.Levis Sullam-E.Traverso (a cura di), Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo. Volume I1. La distruzione degli ebrei, Torino, UTET, 2005, pp. 15-30)

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